L'arte imita la vita più di quanto l'arte non imiti la vita

 

Oscar Wilde

diego a. collovini

Non aggiungere anni alla vita

ma vita agli anni

 

Rita Levi Montalcini

 

 

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Pordenone

 

Danilo De Marco

 

Galleria Bertoia

 

 

I tuoi occhi per vedermi

 

 

Danilo De Marco

 

 

Partera

 

 

 

 

 

   

Tito Maniacco

 

 

 

"Andate per il mondo e cercate il mondo che avete dentro"

Danilo De Marco

 

 

 

«I nomi, si dice, sono costruiti dagli eventi e gli eventi riportano nel loro fangoso alveo di fiumi, ora carsici, ora torrentizi, ora perenni, il materiale e cioè la cultura di cui è fatto il mondo.» Queste parole dell'amico poeta udinese Tito Maniacco, riferite a un partigiano friulano, El Cid, ci dicono come spesso i nomi, ma anche i volti delle persone, portino il segno degli ideali, il riflesso delle immagini che hanno alimentato il senso della loro vita e della società che hanno costruito; i nomi e gli sguardi sono la coscienza umana alle epopee.

È questo il messaggio che il Fotografo dei Partigiani, Danilo De Marco, ci ha trasmesso nella mostra dal titolo I tuoi occhi per vedermi, e raccolta in un ampio catalogo, introdotto di Arturo Carlo Quintavalle.

Donne e uomini, protagonisti, come Bergher, Augé, Boltanski, Dorfless, Matvejević, della crescita culturale, uomini che hanno combattuto per un mondo democratico e semplici spettatori che la storia sono costretti a subirla.

Ritratti di partigiani italiani e di altri rincorsi in tutta Europa prima che il tempo lasci solo i nomi. Volti di persone rigorosamente in bianco e nero, nei cui sguardi la storia narra se stessa e la regione del suo continuare. Di molti sono rimasti gli occhi a parlare e a raccontare. Narrano e ci richiamano alla memoria che sono stati solo partigiani; ed è con quel generico nome che rivendicano le scelte compiute. Sono in fila sulla parete, allineati, ultimo El Cid (il più conosciuto perché ha riempito la copertina del Venerdì di Repubblica del 20 aprile 2012), l'uomo dalle rughe infossate dagli anni, con l'abitudinario cappello calcato in fronte, con gli occhi di chi ha visto, di chi ha deciso, di chi ancora sta guardando al futuro, magari chiedendosi se ne è valsa la pena.

Solo l'occhio esperto di un fotografo come De Marco può dialogare con lo sguardo di un altro uomo; solo un artista può narrare quella storia che diventa anche la sua storia.

Già Andrea Liparoto, con il suo libro, Io sono l'ultimo, ne aveva raccolto le memorie e le ultime impressioni. Abbiamo lette le loro parole, accompagnate dalla tristezza, dalla rabbia, dal rimpianto e poche dalla soddisfazione. E ripensarle sarebbe come sentirle uscire dai profondi sguardi che De Marco ha impresso sulla pellicola, convinto, come i vecchi saggi, che ogni uomo è responsabile della propria faccia.

Il fotografo friulano – quasi un antropologo con la macchina fotografica ­– ci propone, nella lunga sequenza di ritratti raccolti nei paesi del terzo mondo, l'esistenza degli ultimi, degli umili. La pellicola ha impresso la vita di chi vive solo un immediato presente, quello estraneo ad ogni programmazione e privo di una visione del futuro. Sguardi che provengono dall'America Centrale, dall'Africa, dall'Asia, espressioni che fanno guardare alla realtà con l'incoscienza della loro umile spensieratezza. E non sono sguardi di persone rassegnate, sono spesso avvolti nell'ampio sorriso innocente della felicità di vivere. Occhi di uomini, donne, bambini, vecchi che, immaginando altrove il loro futuro, forse percorreranno un lungo viaggio per approdare – sebbene indesiderati e ora respinti – in un orizzonte fantastico, dove difficilmente i sogni diventano realtà.

Però De Marco non parla solo con l'obiettivo, riflette, da fine intellettuale, sul suo lavoro, si lascia andare a colte citazioni di filosofi, poeti, scrittori. E non mi sorprende (come non ha mai sorpreso l'amico Tito) che, per spiegare come toccare la realtà con gli occhi, sia necessario risalire alle origini della fotografia citando il poeta dello Spleen e il vino («Quanta costanza e ostinazione, – scrive De Marco – quanti bicchieri di vino a volte affrontati per sciogliere i primi lunghissimi attimi di imbarazzo reciproco … ») anche convinto che la forza di un'immagine dipende dalla sua capacità di riassumere in sé un contesto molto più vasto: «Baudelaire sapeva che la camera fotografica non poteva essere strumento per un’astrazione della realtà, ma piuttosto un modo per esplorare quella realtà, quel sentire colmo di linee di fuga inattese che permette di agitarne le forme e consegnarle alla durata di un tempo non immobile.»

 

 

 

Ahame Idiri

 

 

El Cid

 

 

Walchiria Terradura "Walchiria"

 

 

 
Santa Marta  - Venezia

 

SIDEREUS NUNCIUS

Edificio 11 dell'Autorità

 Portuale

 

 

Frontespizio della prima edizione di Sudereus Nuncius stampato a Venezia

 

Sculture in Giada

Calendario Cinese su giada bianca

Studenti dell'Accademia Belle Arti di Venezia davanti alle loro opere

GALILEO (asciugandosi) «… Per duemil'anni l'umanità ha creduto che il sole e tutte le costellazioni celesti le girassero attorno. Papa, cardinali, principi, scienziati, condottieri, mercanti, pescivendole e scolaretti: tutti erano convinti di starsene immobili dentro questa calotta di cristallo. Ma ora ne stiamo uscendo fuori, Andrea: e ci attende un grande viaggio: perché l'evo antico è finito e siamo nella nuova era. Da cent'anni è come se l'umanità si stia aspettando qualche cosa. Le città sono piccole, le teste altrettanto: piene di superstizioni e di pestilenze. Ma ora noi diciamo: visto che così è, così non deve rimanere. Perché ogni cosa si muove, amico mio.»

Sono parole tratte da Vita di Galileo di Bertold Brecht, è l'annuncio della nuova scoperta, l'apparire, anche non così improvvisamente, di un nuovo modo di guardare all'infinito. L'universo è stato rivoltato, liberato e ordinato nell'incommensurabile spazio del cosmo. Non più l'uomo al centro dell'universo ma, come in realtà, posto in una parte mobile dello spazio siderale; non più l'uomo come essere privilegiato da Dio ma un uomo con la sua conoscenza e la sua sapienza a interpretare e misurare il sistema solare.

Dopo Galilei si apre il nuovo libro dell'universo, completamente nuovo e da leggere con le parole degli uomini mortali.

A commentare questa grande rivoluzione si sono cimentati gli artisti Kimiko Yoshida, Paolo Frascati e David Marinotto, interpretando il passaggio da un universo infinito, sacro e immobile creato da un essere sovrannaturale, a uno finito, misurabile, sempre in movimento e soggetto alla corruttibilità e alla finitezza terrena.

Presso l'edificio 11 dell'Autorità Portuale di Venezia, sede della italiana Biobridge Foundation e della Regenlab, si è inaugurata Siderius Nuncius, una mostra che, citando il famoso libro di Galilei, intende far dialogare gli artisti sulla grande rivoluzione Copernicana.

«L'arte non acconsente alla realtà delle cose così come sono» scrive Kimiko Yoshida, giapponese e autrice delle opere pittorico/fotografiche esposte in questa mostra. I suoi lavori, prevalentemente autoritratti, aventi quasi sempre lo stesso soggetto, la stessa inquadratura, la stessa luce, lo stesso principio cromatico, lo stesso formato quadrato, ci appaiono come la metafora di un grande e ripetuto sguardo sospeso (come per altro sono allestite in mostra) e, proprio per la loro apparente ripetitività, rappresentano l'oggetto della loro attenzione: l'infinito. Un'astrazione che, nella sua sequenzialità, induce all'idea di spazio interminabile; le opere di Kimiko si ripetono simili a sé stesse ma mai uguali; opere che inseguono il limite di un universo che si abbandona finalmente al mondo delle idee e dei pensieri.

Gli occhi di Kimiko, replicati nei leggeri eterei autoritratti, intravvedono il sistema solare che lo scultore Paolo Frascati ripropone nella sua installazione. Una grande spirale realizzata con variegate e informi figure tridimensionali in ceramica. Ogni elemento simboleggia un pianeta, una stella, una costellazione. In questa materializzazione dall'infinito a finito, dall'astrazione del pensiero umano alla misurazione dei pianeti avviene lo scambio tra il "guardare astrattamente" delle opere di Kimico alla materia, alla forma, alla quotidianità dell'essere.

Frascati, nella sua installazione, riproduce la sezione aurea, una spirale che può essere centripeta, quando tutto porta al centro, alla ragione galileiana, al pensiero o al "metodo scientifico" che dimostra la validità del sistema Copernicano; ma può essere anche centrifuga quando dalla ragione dell'uomo si apre il desiderio di conoscere e di raggiungere l'infinito attraverso il pensiero; dalla materia dura della terra, lo yin nella cultura taoista, alla materia leggera del cielo, lo yang. A far da contorno alla grande spirale, sculture antropomorfe, modellate con tratti decisi, forti come a dar identità a muti spettatori immobili e pronti a dialogare con le statue proposte da David Marinotto nell'installazione posta di fronte. Rosse figure, prive di proporzione, erette, sagome apparentemente vaganti. Silenziose forme che paiono aggirarsi spaesate nell'antico mondo tolemaico, ma affascinate dal richiamo del nuovo ordine siderale. Figure con addosso una fera, simbolo della perfezione, della regolarità assoluta: il luogo dei punti dello spazio che hanno tutti ugual distanza da un punto fisso, detto centro, ci dice la geometria Il fascino di un nuovo universo che si scontra con la sferica calotta di un mondo superato. Sfera dunque come passato e come futuro, sfera sulla cui superficie ogni riflesso della luce si spande in tutte le direzioni come a seguire il Tao che dal finito porta all'infinito.

A far da cornice a questa mostra un'importante e ragionata raccolta di opere in giada pazientemente collezionate da Antoine Turzi, si possono, infatti, osservare opere che vanno dal periodo preistorico cinese sino alla rivoluzione culturale di Mao Zedong. Una collezione che rimanda alla civiltà cinese, a un altro mondo la cui concezione dell'universo non si scostava poi tanto da quella teorizzata da Chia-Li-Lueh (nome cinese di Galilei). La rivoluzione copernicana dialoga in questo modo con una civiltà che trova fondamento nella filosofia del Tao, dove i contrari colloquiano tra loro, dove materia e spirito si trovano ad essere complementari, come il cielo e la terra sono le due componenti essenziali dell'universo, dove l'essere materiale è anche il fautore del pensiero spirituale, e dove l'uomo, da essere finito e corruttibile, diventa capace di un pensiero infinito e universale.

Presenti anche diversi studenti dell'Accademia di Belle Arti di Venezia, i cui lavori sono stati introdotti didatticamente ed esteticamente inquadrati nel contesto della mostra dal direttore dell'Accademia di Belle Arti di Venezia, prof. Giuseppe La Bruna, cui va certamente il merito di aver voluto dare agli studenti un'opportunità per immergersi in una realtà culturale, quella orientale, ma soprattutto di permettere alle opere degli studenti di essere fruibili al di fuori del contesto formativo e di essere quindi autonome; di essere cioè, come più volte ha sottolineato La Bruna, guardate come opere della ricerca artistica e non come semplici elaborati.

 

 

Diego Collovini, Giuseppe

La Bruna direttore ABA Venezia

Antoine Turzi, presidente fondazione Biobridge.

Aula magna ABA Venezia

 

 

 

 

 

 

 

 

Risultati immagini per kimiko yoshida self portrait

foto/pittura di Kimiko Yoshida

 

 

 

 

 

Installazione di Paolo Frascati

 

 

 

 

Installazione di David Marinotto