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- Nord est solo ricchezza?

- E' già tempo di mare

- Gliene ha cantate tante

- Opinione dell'arte club a proposito delle proposta di riforma della biennale

- E ora che si è votata la provincia dl Veneto Orientale?

- Per un’idea di turismo legato alla tradizione nel Veneto Orientale

- Venezia: una zia matrigna

- Pordenone tra cinema muto e fotografia

- Ancora sulla legge 142

- Portogruaro città della cultura

 

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Nord est solo ricchezza?

 

 

A leggere il Libro di Gian Antonio Stella “sche. Dal boom alla rivolta:il mitico NordEsti”, parrebbe che esista solo la ricchezza ma ad analizzare attentamente il testo, a considerarlo come espressione di un comportamento, soprattutto, se confrontato con i comportamenti della gente del NordEst, ne scopriremo certamente un no.

Di sì perché tutto pare ruotare attorno alla produttività, al commercio, all’iniziativa, all’inventiva, alla disponibilità a svolgere lavori che altri cittadini italiani, di altre parte d’Italia, non svolgerebbero mai.. Un esempio è Rossano Veneto. Una cittadina dal passato millenario dove, a tutt’oggi, non esiste disoccupazione. Una cittadina che in trent’anni è passata da un’economia rurale ad una di tipo industriale e artigianale. Una cittadina dove c’è un’industria ogni sette abitanti, e che chiede ancora insediamenti produttivi. Una cittadina, la cui gioventù però rivendica spazi culturali, luoghi di incontro, un cinema, magari un Centro Sociale.

Di no perché chi in queste terre è cresciuto ricorda i vecchi veneti - allora i più poveri d’Italia - che, negli anni cinquanta, se ne sono andati a lavorare nelle fabbriche della Germania, a fare i mina­tori in Belgio, i manovali in Francia, confortati solo dall’idea di ritornare nella loro terra, a costruirsi quella casa che non avevano, per uscire così dallo stato di sudditanza, anche residenziale, di bracciantato agri­colo. E per lo stato, grazie alle rimesse, rappresentavano una ricchezza.

Questi uomini, cui è stato attribuito da Bocca, da Farina e da altri giornalisti, come simbolo il duomo di Venzone, giudicato dagli esperti irrecuperabile, invece ricostruito dai friulani ricomponendo una ad una le 7.650 pietre . Un popolo perspicace, volonteroso, orgoglioso e legato da un irriducibile amore per la terra. Questa terra dà molto, ma dove c’è lo Stato che dà poco.

Lo so c’è chi dice che la nostra fortuna è stata la mancanza dello Stato. Ma io non sono d’accordo”. Pa­role di Pietro Marzotto. Forse tutto non è così casuale come qualcuno crede, perché gli schei non possono essere nascosti sotto il pajon. Gli imprenditori sono convinti che il denaro deve essere reinvestito, deve circolare per produrre ancora ricchezza. E dove è stato possibile far circo­lare il denaro, magari senza I.V.A., magari in realtà in cui le leggi non erano così presenti, o impadronendosi dei nuovi mercati dell’est, la ricchezza si è andata materializzando.

Dove lo Stato è solo burocraticamente presente, nasce il malumore dei cittadini. Perché si deve pagare l’autostrada da Conegliano a Sacile per 20 chilometri e poi correre gratis per altri quaranta, solo perché si corre in Friuli? oppure perché i pordenonesi, che molto più distante di San Michele al Tagliamento dal confine Sloveno, usufruiscono della benzina scontata? o ancora, perché nel Friuli vengono concessi finanziamenti a tasso agevolato e in Veneto no? Perché molti imprenditori del Veneto Orientale inve­stono in Friuli e perché i friulani non hanno convenienza ad investire in Veneto?

Non pare tanti unito e conforme questo NordEst. Il primo settembre a Portogruaro si terrà l’ultimo dei referendum consultivi per il passaggio del territorio compreso tra i Livenza ed il Tagliamento alla pro­vincia di Pordenone.

Roberto Strumendo, presidente del Movimento Dai Monti al mare e promotore del Referendum, ritiene che la causa del mancato sviluppo del portogruarese sia imputarsi a due fattori. Il primo al disinteresse di Venezia per questo territorio e secondo che l’aspetto giuridico - regione a statuto speciale il Friuli, ordinario il Veneto - sia una delle cause di rallentamento economico e mancata competitività delle no­stre industrie. Assicura Strumendo che gli industriali pordenonesi sono prontissimi ad investire nel Por­togruarese. Del resto lo hanno già fatto a Bibione, spiaggia di Pordenone.

Però non tutti si sentono friulani, qualcuno ha già pensato di creare il movimento pro-Venezia. Qualcun altro discute della nuova provincia, altri di macro regioni.

 

 

 

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E’ già tempo di mare

 

 

 

 

Con il marco alle stelle, la prossima estate annuncia un copioso arrivo di turisti stranieri, tedeschi in articolare. Le spiagge dell'alto Adriatico - Jesolo, Caorle, Bibione Lignano, Grado - sono, da sempre, la meta preferita dei turisti tedeschi, ma ora queste operose stazioni balneari lo saranno ancora di più. Anzi dovranno, per certi versi, proporsi anche come mercati dell’immobile. E questo nuove prospettive naturalmente facilitano un ulteriore ingresso di moneta forte, poiché aspirazione di molti tedeschi è l'acquisto d'immobili nelle zone balneari dell’Adriatico.

Che per l'economia immediata sia un forte guadagno, è una certezza e quindi non ha senso discutere di questo, semmai potremmo ragionare a tempi più lunghi. I redditi derivanti da fitti rimarranno purtroppo in altri paesi e quindi l'ingresso, nel prossimo futuro, di moneta pregiata sarà ridotto notevolmente. Le numerose agenzie austriache o tedesche affitteranno con una certa facilità gli immobile ai connazionali.

Ma tutto questo non sarà poi un dramma, anzi credo che molti auspichino una stasi nel mercato immobiliare delle cittadine di mare. La mancanza d'investimenti, si sa purtroppo non produce posti di lavoro, anzi questi diminuiscono, per cui non può essere considerato un bene. Al contrario però la mancanza d'investimenti, lascia un po’ d'ossigeno alle pochissime zone ancora vergini della costa adriatica. E questo è un bene, e lo sarà ancor di più se i tedeschi o gli austriaci riterranno più opportuno investire in immobili per le vacanze in terra loro.

Il calo della lira guiderà, con particolare successo per le spiagge del Veneto, la riscossa del turismo italiano rispetto quello della vicina Slovenia e Croazia. La tradizione, in questo caso, la frequentazione assidua, la qualità dei servizi giocano il ruolo molto importante poiché, come pare si profili all'orizzonte, è interesse, per l'economia di questi paesi, la qualità dei servizi fornita, la serietà nel dare quello che le campagne pubblicitarie hanno proposto. E questo porterà ad un maggiore impegno da parte delle amministrazioni locali nel potenziare, rendere accogliente le spiagge e anche le città d’arte, soprattutto quelle grandi, che sentono passata la paura della delinquenza, dei rapimenti; discutibili qualità propagandate da alcune agenzie pubblicitarie tedesche.

Ora il marco permette anche alla piccola borghesia tedesca di comperare degli appartamenti con vista sul mare. E anche le molte barche, ora in deposito nei vicini porti slavi, attraverseranno il mare confortati da maggiori benefici.

Il richiamo del mare e del divertimento italiano (Rimini davanti a tutti) sono realmente appetibili dagli stranieri. E, sempre grazie all’alto potere d'acquisto del marco, i turisti hanno la possibilità d'allungare i loro soggiorni e conoscere anche delle realtà culturali e folcloristiche che forse non conoscevano.

Quello che però crea un certo senso di malinconia, è la scoperta che l’Europa si sta effettivamente muovendo con marce diverse, e la mentalità europeista della Germania, Francia e degli altri Stati della Comunità, aprono orizzonti nuovi e diversi. L'integrazione, almeno quella turistica, sembra essere in atto scontato per gli italiani, ma purtroppo, grazie ad errori in campo economico e finanziario, si deve prendere atto di un'instabilità che va a tutto vantaggio di coloro che le cose le sanno fare e con serenità e con profitto. Forse non è mai troppo tardi per imparare e per aprire le idee a proposte nuove e più interessati e anche più creative. Dunque dietro a questa nuova realtà “balneare” c’è tanto da fare, da inventare, magari anche guardando all’entroterra, alle sue bellezze naturali, artistiche e architettoniche, che meritano di diventare delle interessanti mete o percorsi turistici per le giornate di cielo coperto.

 

 

 

 

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Gliene ha cantate tante”

 

 

 

 

La recente “sfuriata” dell’onorevole Dalema (che in realtà segue ad altre più intense e più violente) contro la stampa ci riporta ancora sull’argomento affrontato dallo studente Massimo Pamitsch e ultimamente da Michele Boato. Saremmo sicuramente degli ingenui e degli sprovveduti se solo pensassimo ad un’informazione che stia al di sopra delle parti e questo perché l’informazione vuole e deve essere la voce del lettore, cioè il mezzo di informazione deve saper raccontare ciò che il lettore vuole che si racconti, solo così egli immedesima le proprie idee con quelle dell’informazione (parola di Scalfari).

Allora non ci sembra un caso che molti giornali siano nati come organi di partito, come strumenti di propaganda, come mezzi non solo di informazione, ma anche di controinformazione e dunque di sfogo. Tutti abbiamo detto “Gliene ha cantate tante”, quando abbiamo condiviso le idee di un giornalista. E proprio con questo presupposto della condivisione che si è soliti cercare nel giornale “borghese” la certezza dell’ovvietà, e nel giornale estremista la faziosità o l’invettiva. Pensare i mezzi di informazione al di sopra delle parti ci sembra una vera utopia. L’immaginare l’esistenza di un professionista iscritto ad un ideale albo, per noi italiani almeno, pare essere solo la conclusione di una speculazione filosofica.

E sarebbe ancora più difficile figurarci un giornale capace di sopravvivere con propri guadagni o con le sottoscrizioni dei lettori. Se si vuol sottilizzare può accadere, come dice lo studente, “che la loro coscienza venga pilotata da qualcuno” che preferisce che .... . Se usciamo da una visione di questo genere dobbiamo, per le stesse ragioni uscire anche dalla logica dell’informazione. Le recenti scuse della redazione del Manifesto ai loro lettori per aver fatto pubblicità al settimanale di destra “Italia Oggi” ci pone la domanda: perché un imprenditore di destra deve sovvenzionare un giornale di sinistra? O al contrario: perché un imprenditore di destra o di sinistra non deve essere lodato dall’informazione, della aua parte, per il suo impegno sociale e culturale? All’idealismo ha sempre risposto il capitale. E molto bene!

Questo sembra appartenere alla logica dei fatti, al gioco della politica. In fin dei conti il giornale serve solamente a informare i “fedeli” che la loro idea sociale e politica vive  ancora e che, proprio in una descrizione ed interpretazione dei fatti , vi è a certezza della validità di quelle idee. Logica e giustizia vogliono che il giornale non sia altro che l’eco del dibattito politico e democratico di uno Stato.

Diverso invece è il rapporto che si instaura con la televisione. La televisione entra prepotentemente nelle nostre case, non ha una storia, non nasce come strumento di divulgazione di un’idea. La televisione non si può interrogare, non risponde, anzi fa di peggio: non ripete e dunque non ci mette nelle condizione di poter dissentire con l’immaginario interlocutore, il quale ci obbliga a seguire il suo ragionamento, senza lasciarci il tempo di riflettere, perché siamo intenti a seguire la logica del suo ragionamento. La televisione si nutre della solitudine, la stessa che ci porta alla ricerca di “un rappresentante” che abbia la forza di far sentire quello che si vorrebbe urlare al mondo. E solo la televisione diventa il megafono dei sentimenti più nascosti e più beceri. I vari Ferrara, Sgarbi, Funari, Fede, non sono degli imbonitori, non vogliono assolutamente condizionarci, riescono ad amplificare quello che la maggior parte degli spettatori vorrebbe dire e urlare; anche loro ne hanno dette tante a quell’... . Purtroppo spesso diamo loro ragione, ci trovano concordi con le invettive contro Tizio, Caio, Sempronio. E quel che ancor è peggio (non c’è mai un limite al peggio) è che chi si sente applaudito si ritiene senza ombra di dubbio nel giusto; anche il Duce quando faceva i suoi proclami usava la radio, perché solo attraverso l’immediatezza la contemporaneità dell’evento aveva la possibilità di parlare a tanti, di usufruire di uno stato d’animo emozionale collettivo. E in quell’esaltazione comune la certezza della propria idea si conforta e corrobora (come diceva Popper) proprio nell’indistruttibilità della verità del “lo dicono tutti” E chi non ricorda il film Una Giornata Particolare nel quale si narra la drammaticità di una diversità, mentre l’umana solitudine era scandita dalla mancata partecipazione all’esaltazione collettiva della visita ufficiale di Hitler a Roma.

Ma l’arma migliore e più pericolosa della televisione è il silenzio, è il tacere la notizia. L’uomo moderno è avvezzo a dubitare dell’interpretazione settoriale, o di parte che si dà ad una notizia. Può non condividere un’interpretazione o a quell’idea, ma su quel fatto, su quella notizia discute, ne prende atto, la analizza, la distrugge, la condivide. Ma ne parla perché esiste. Il vero condizionamento nasce dal non informare, non dall’informazione di parte. Ecco perché sono deplorevoli gli attacchi alla stampa, sia da parte delle sinistre che delle destre, proprio perché dicendo che si pubblicano delle infamità, delle incertezze, delle bugie, implicitamente vi è la richiesta che si tacciano delle notizie. E purtroppo qualcuno, che non è Fede, le notizie comincia a non darle. Il lasciare il giornale in edicola  equivale a non volersi informare, il non accendere la televisione significa chiudere le finestre al mondo.

È semmai la coscienza del telecomando che ci apre nuove prospettive (anzi vecchie) che trovano giustificazione nella necessità di una comunicazione viva, umana, quella che nasce dalla frequentazione della gente, dei teatri, dei cinema, dei musei, delle piazze. Dovremmo essere noi a schiacciare i tasti del telecomando rifiutandoci di sentire  di vedere, interrompendo così quei programmi che volutamente non informano. L’auditel (che rappresenta la soglia dell’essere e del non essere e la logica dell’esistenza di una televisione e dei suoi programmi), non bisogna dimenticarlo ha fatto chiudere diversi programmi (ahimé anche tutti quelli culturali) e se ha dato risultati, vuol dire che qualcuno l’ha usata.

 

 

 

 

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Opinioni dell'Arte Club a proposito della proposta di riforma della Biennale

 

 

 

 

Una Biennale burocratizzata, quella che verrà, una manifestazione che sta perdendo la sua vera natura di manifestazione artistica d’avanguardia. Questo sembra il lapidario giudizio che l’ART CLUB (vecchia sigla del gruppo di Forma 1 negli anni cinquanta) ha fatto conoscere alla stampa nazionale ed internazionale.

All’associazione, ora solamente di opinione, hanno aderito i nomi più illustri del mondo dell’arte contemporanea e tra i quali vale la pena di ricordare Dorazio (presidente) Pozzati, Aricò, Bonalumi, Castellani, Pardi, Olivieri, Griffa, Legnaghi, (rappresentante per il Veneto) Dorfles, Corpora, Munari, Mastroianni, Veronesi, Scialoja. E tra gli stranieri: Matta, Tapìes, Noland e Tilson.

Tutti sono concordi nel sostenere che la riforma proposta dall’attuale Ministro Veltroni non vada tramutata in legge. Le critiche non sono rivolte solamente verso il nuovo statuto, ma riguardano anche la nomina a direttore delle Arti Figurative di Germano Celant, non ritenuto, per curricolo e per incidenza nel mondo dell’arte internazionale, capace di gestire la manifestazione.

Dorazio, nella persona del presidente dell’ART CLUB, ha mosso diverse critiche a proposito del progetto di legge, in particolare ha fatto presente che la Biennale è nata per l’interesse e l’impegno di artisti e di intellettuali e lo scopo era quello di indagare, dopo intervalli di due anni, la contemporaneità del mondo dell’arte. Un palcoscenico, la Biennale, sul quale sono passati non solo i più significativi artisti contemporanei, ma anche le nuove proposte, i nuovi linguaggi, le nuove esperienze, alle quali i giovani artisti potevano attingere, o con cui potevano confrontarsi. Per diversi mesi la Biennale alimentava un dibattito sui temi dell’arte e sul suo futuro. Con il passare degli anni questo dibattito è andato progressivamente scemando con il trasformarsi della Biennale in Mostre a Tema. Non dunque l’attualità dell’arte, ma l’arte a servizio di una tesi critica o una verifica di una teoria culturale (operazioni queste che appartengono più all’attività di un museo, che ad un’istituzione di arte contemporanea).

E la polemica tra l’ART CLUB e il Ministro si fonda sulla differenza tra arte e cultura, poiché, secondo i firmatari del documento, quest’ultima viene spesso intesa come intrattenimento, come spettacolo, cosa che l’arte è ben lungi dall’essere.

Ma anche la struttura Amministrativa viene contestata dagli artisti. L’attuale proposta vede nel Consiglio di Amministrazione oltre al presidente un membro del Consiglio Regionale e uno del Consiglio Provinciale, nonché il Sindaco di Venezia e infine un membro designato dai soci privati. Nel documento inviato al Ministro si chiede come mai siano decisamente esclusi gli artisti, i Direttori di Accademia, i Direttori di Conservatorio, i Direttori delle scuole di Architettura, gli Storici dell’arte. Tutti presenti i politici (esperti o interessati non importa), fuorché chi fa l’arte, chi la studia.

Un altro punto che ha fatto scatenare il disappunto degli artisti è la cosiddetta “partecipazione dei privati”. Si chiede come mai lo Stato abbia o senta la necessità di far convogliare dei capitali privati nel mondo dell’arte in cambio di una semplice partecipazione decisionale nel consiglio di Amministrazione. Non era forse sufficiente la legge 512 sulle sponsorizzazioni? Con quella legge si sono restaurati gli affreschi della Cappella Sistina.

C’è chi vede in questa “partecipazione” la mano di grossi operatori del mondo dell’arte (finanziarie, grandi gallerie, case d’asta) pronti a far aumentare le quotazioni di determinati artisti, grazie all’importanza che la manifestazione veneziana veste ancora all’estero. L’ART CLUB si chiede se sono proprio questi gli “esperti” dei quali il Consiglio di Amministrazione può “avvalersi”.

Il pericolo vagheggiato dai più “maliziosi” è quello che nel mondo dell’arte si vengano a formare alcuni trust o cartelli che occupino il mercato dell’arte.

 

 

 

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E ora che si è votata la provincia dl Veneto Orientale?

 

 

 

 

Arriva la provincia, ma non si sa ancora quale cittadina ne vestirà i panni. Per il momento si sa solamente che ci sarà la provincia del Veneto Orientale.

Nell’ultimo numero avevamo sentito il Difensore Civico Regionale. On. Strumendo, che ci aveva ricostruito l’iter della legge 142, quando era appunto relatore commissione parlamentare della legge stessa. Avevamo avuto l’occasione di mettere a fuoco la vicenda con particolarità e di portare alla luce i presupposti che hanno - almeno negli ultimi vent’anni - contribuito a determinare, in modo sufficientemente chiaro, l’area geografica che avrebbe poi  interessato questa nuova provincia.

Ne risultava anche, forse in modo abbastanza celato, la rivalità tra le due cittadine più importanti del territorio del Nord Est: Portogruaro e San Donà di Piave. Una rivalità che va avanti da molti anni, poiché negli ultimi decenni la città del Piave è venuta assumendo via via una maggiore  importanza amministrativa. Tutti gli uffici più importanti, come la Sip (ora Telecom), l’Enel, l’INPS, hanno ora sede nella città di San Donà, e a ragione, poiché conta un numero maggiore d'abitanti ed una rete industriale e commerciale superiore. Perfino le due USL sono state ora unificate, anche se hanno mantenuto le strutture territoriali semiautonome.

D’altra parte Portogruaro, sempre in questi ultimi trent’anni percorreva una strada diversa, perdeva dapprima la sede vescovile e  con essa buona parte dell’archivio storico ecclesiastico, (ora oggetto di contenzioso tra il comune e la curia). Trasferite o chiuse le attività industriali più importanti come la fabbrica di perfosfati, in centro, e ha anche visto chiudere molte delle attività produttive della vicina Villanova. Il declino si profilava all’orizzonte inesorabile. Tanto inesorabile da promuovere comitati pro-Friuli. Molti cittadini, insoddisfatti non solo del disinteresse di Venezia verso queste terre lontane, nella loro campagna per l’annessione al Friuli, hanno messo in evidenza, forse in modo eccessivamente passionale, i disservizi e le difficoltà oggettive che questa parte del Veneto evidenzia, nonché le vere o presunte difficoltà burocratiche tutte rivolte, secondo costoro, a rallentare la ripresa produttiva. Questi gruppi dimenticano però che l’annessione ad altra regione prevede un cambiamento della Costituzionale e dunque ogni proposta di spostamento dei confini regionali vedrebbe coinvolto anche il politico calabrese il quale ha altri problemi e più seri, da risolvere. Buona parte degli abitanti delle aree di confine è però convinta che non basta appartenere ad una regione a statuto speciale  per assumere delle capacità imprenditoriali autonome, non basta che una regione eroghi fondi per le attività produttive, per essere dei buoni imprenditori. E ciò lo dimostrano tutti gli interventi legislativi avvenuti in questi ultimi anni per rendersi conto che ben altro ci vuole per essere competitivi con le regioni confinanti, o, ancor meglio, con gli Stati europei. E poi quella legge sulle aree di confine, fino a dove deve essere allargata?

Ma al di là di queste questioni che, al momento, sembrano essere disquisizioni teoriche, c’è vera insoddisfazione nel NordEst, essenzialmente dovuta alla competizione con le città vicine. S'avverte lo schiacciamento produttivo e organizzativo della provincia di Pordenone, s'assiste al lento spostamento delle sedi distaccate degli uffici provinciali verso San Donà, e dall’altro la lenta, ma costante, diminuzione di importanza di Venezia rende sempre meno desideroso tale punto di riferimento. 

Ma una provincia non può essere definita tale solo per la presenza degli uffici amministrativi. Un provincia s'occupa anche di altro, non solo di INPS o di telefoni, di USL. Vi è un patrimonio culturale da recuperare sia come tradizione sia come storia vera e propria. Del Veneto Orientale si parla già nel primo secolo avanti Cristo quando avvenne la centuriazione a nord di Portogruaro. E su quella centuriazione crebbero paesi la cui storia dipese prima dai Longobardi, poi da  Carlo Magno, e, dopo un periodo di autonomia comunale, il loro destino  fu strettamente legato alle alterne fortune della Repubblica di Venezia. Poi l’Austria, (che a onor del vero da queste parti non fu mai dimenticata: molti bar hanno esposto nelle loro salette ritratti di Checcobeppe in uniforme), poi l’Italia, ultima annessione e molto recente, tanto che molti nonni, soprattutto nelle montagne del Trentino o del Friuli, si ricordano ancora dell’usurpatore austriaco. Non ha importanza quanto forti siano queste nostalgie, certamente stanno ad indicare qualcosa di più di un ricordo o di un legame con terre e popoli che poi non sono così distanti.

E proprio all’interno di quest’area è stata appunto votata la costituzione di una nuova provincia che non dovrebbe avere una connotazione territoriale specifica, ma deve saper raccogliere un po’ tutte le caratteristiche di questo territorio. Non una nuova provincia che s'arroghi privilegi a scapito di altre città, quanto piuttosto bisognerebbe prospettare un ordinamento amministrativo che s'apra maggiormente ad altri territori, e che tessa una rete di rapporti che vadano al di là dell’immediato governo burocratico del territorio.

Potrebbe essere estrosa e forse anche poco funzionale l’idea di una provincia che veda coinvolti tutti i centri più importanti del NordEst, decentrando le diverse attività amministrative proprie di una provincia, per dare ad ogni territorio una sua dimensione autonoma in funzione alle aspirazioni e alle tradizioni di ogni singola città. Se da un lato San Donà ha raggiunto primato dell’organizzazione industriale e produttiva, dall’altra la sua vicina Portogruaro, che mantiene nella storia un lungo rapporto con il nord (non dimentichiamo che la strada per in Norico, partiva da Portogruaro) ha da salvare una sua tradizione culturale e un recente impegno - l’istituzione di alcuni corsi universitari.

Ma altre sono le occasioni per valorizzare le qualità di questo territorio, ma comunque ogni politica amministrativa che voglia essere rivolta al futuro deve muovere verso un’idea di provincia che non deve ricalcare cammini già percorsi da altre province, muovere verso un’organizzazione di tipo federalista, dove il decentramento non deve essere una sorta di dismissione dei centri più importanti, ma creare delle sovrastruure capaci di rispondere alle necessità dell’economia ma anche di valorizzare la storia e le tradizioni delle popolazioni.

 

 

 

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Per un’idea di turismo legato alla tradizione nel Veneto Orientale.

 

 

 

 

Il primo traguardo della Mostra Nazionale dei Vini di Pramaggiore era il cinquantesimo anniversario. Una data importante poiché con questa scadenza sarebbero cambiati i rapporti tra la manifestazione vinicola con l’ambiente circostante: cosa puntualmente avvenuta.

Nata come semplice esposizione dei vini nel 1946, con l’obiettivo di far conoscere la produzione locale dei vini, la Mostra è andata via via aumentando di prestigio ricevendo così importanti riconoscenze nazionali. Ma ne ha anche fatte avere: il tocai di Lison, il merlot e Cabernet di Pramaggiore sono diventati vini a Denominazione di Origine Controllata proprio grazie all’interessamento dell’Ente Mostra Vini.

Nel ‘71 diventa Nazionale ospitando produttori di tutta Italia, e poco prima nel ‘61 venne istituito in primo concorso vini d.o.c. nazionale, mentre nel ‘63 venne istituito i concorso vini da tavola. Premi prestigiosi che per molti diventarono veicoli di propaganda in tutta Europa. 

Promotrice anche di un’intensa attività di informazione e di aggiornamento delle attività connesse all’agricoltura, nella sede di Pramaggiore ha infatti sede il centro servizi per l’assistenza tecnica, il consorzio vini d.o.c..

Ma la scadenza del cinquantenario, che per altro sarà festeggiata con interessanti spettacoli legati alla tradizione della terra e soprattutto al bel canto, rappresenta un appuntamento importante per tutto il Veneto Orientale. Attorno alla Mostra Vini, con l’approva-zione del nuovo Statuto, e grazie alle opportunità proposte dall’articolo 5b del regolamento CEE, e alla legge regionale n. 13 del 1994, si apre una nuova visione del territorio e dell’ambiente. Il presidente Luciano Moretto sta promuovendo una campagna informativo-turistica dell’Ente Mostra Vini. Lo Statuto prevede infatti due linee strategico-promozionali: una prima indirizzata alla valorizzazione del territorio socio-culturale del Veneto Orientale, proposto naturalmente come appendice della storia di Venezia.  Una seconda invece si propone quale promozione turistico-enogastronomica rivolta ai paesi dell’Europa, con il palese intento di dare a tutto l’entroterra del Nord-Est della provincia di Venezia una definizione storico culturale utilizzando i veicoli turistici già esistenti.

Che dunque questa terra già famosa con Carlo Magno ritorni a trovare una dignità storica e che possa così uscire dal torpore che ha sempre l’ha sempre contraddistinta, soprattutto in questo periodo quando difficile appare trovare un’identità tra il Friuli e la Provincia di Venezia, dalla quale, forse a ragione, molti protagonisti si sentono di appartenere.

 

 

 

 

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Venezia: una zia matrigna

 

 

 

 

Portogruaro non era l'ultima fra quelle piccole città di terraferma nelle quali il tipo di Serenissima Dominante era copiato e ricalcato con ogni possibile fedeltà. Le ca­se, grandi spaziose col triplice finestrone nel mezzo, s'allineavano ai due lati delle contrade, in maniera che soltanto l'acqua mancava per completare la somiglianza con Venezia" così scriveva Ippolito Nievo di Portogruaro nelle "Confessioni di un Italiano". Chi dopo di lui vive in questa città, vive delle stesse impressioni, ne sente la stessa sudditanza culturale e mondana. Ne percepisce la parziale assenza dell'acqua, anche se la cittadina del Veneto Orientale ha tanto scavato attorno per costruire canali, rii. Così l'acqua passa dappertutto, dentro le mura, fuori le mura, davanti e dietro e in mezzo alle due vie che percorrono l'abitato. L'architettura cit­tadina è stata così fornita di ponti, di calli che menano all'acqua. Si è così voluto costruire una nipote, una  nipote concepita nelle fresche ville di campagna,  in co­stante ammirazione di una zia imbellettata, ricca di ornamenti raffinati ed esotici, dalla capigliatura complessa, una zia cortigiana, una zia incipriata sempre in mostra come la lussuriosa Amore del Durigny o la Cleopatra del Tiepolo. Una zia il cui fascino rimanda a fantasie, a desideri erotici carichi di estrosità, di voglie represse, di ambizioni mai sopite, forse trascinate nel tempo, come un'aspettativa su un futu­ro ancora lungo da mostrarsi.

E quando scendiamo dal treno, e posiamo i piedi su quelle isole, noi della terra­ferma, sentiamo il calore ma anche la soggezione che i nipoti provano quando var­cano la soglia della casa dell'importante parente. E ci guardiamo intorno come per cercare quelle somiglianze che abbiamo lasciato a casa, e ci vien voglia di osser­varle, come fossero delle preziosità che non possono avere prezzo: quello è il va­lore assoluto delle cose perché oltrepassano il confine della materialità, per poi ad­dentrarsi in quel mondo incerto e coinvolgente dove regna il sentimento. Una fu­gace entrata in un palcoscenico occupato dalle cortigiane pettegole del Longhi che si gongolano e conversano, con quel dialetto, che ancora noi continuiamo a sentire diverso; quella stessa parlata che procurò a Goldoni fama nel mondo e creò dis­senso in patria.

E a volte, passando tra le calli della grande casa decadente, odorante ancora di so­lennità e maestosità, ricca di quelle decorazioni che l'hanno resa eterea e mi­ste­riosa, si notano i capricci architettonici capaci di dialogare con i Capricci  del Cana­letto. E di quello vogliamo portare memoria, per poi cercare nella fanta­sia le costruzioni che la nostra povertà, di pensiero e di creatività, ci ha regalato. E l'imi­tiamo ancora questa falsa ed irraggiungibile donna. La vediamo a volte ap­parire improvvisamente con il fascino del colore. Quel colore che Santomaso ha raccolto e ha mostrato nella sua più semplice ed intima malinconia: come il colore delle terre, dei muri, della pietra d'Istria, del marmo, dell'acqua, della salsedine, della lenta degradazione, ma anche i caldi colori del cielo e della luce, come quelli che abbiamo tanto ammirato e cercato di imitare, come le infinite aperture al cielo delle volte del Tiepolo. Colori e atmosfere mai riprodotte nelle residenze di cam­pagna. O ancora quando rimaniamo affascinati dalla divina luce che abbraccia l'Assunta del Tiziano. Stiamo lì fermi a contemplarne la ricchezza, il gusto, ad in­vidiare, a questa vecchia signora, la grandezza di un tempo, come quell'anello della nonna il cui ricordo lo portiamo per sempre, dimenticandocene magari la forma, e che nella memoria spesso diventa altro, solo il ricordo di un'istantanea emozione.

La Madonna sta lì imponente nella sua luce d'oriente, si fa contemplare, vestita di un rosso che difficilmente dimentichiamo perché ci sembra il vero, l'unico e l'au­tentico rosso.

Un rosso diverso, dalle tonalità soffuse, a volte prive di quella fonte luminosa che molti vedutisti, come il Guardi o  il Canaletto ci hanno abituato. Di questi invece cerchiamo l'ombra, quella desiderata, agognata nel lungo percorso dei nostri pic­coli spostamenti, alla scoperta dei segreti, di quelle piccole leziosità che ci mettono quella voglia addosso di sentire sussurrare la voce delle donnicciole e barcaioli in perpetuo cicaleccio tra le calli...nel canale del Lemene puzzo d'acqua salsa , be­stemmiar i paroni, e continuo rimescolarsi di burchi, d'ancore e di gomene".

Ma noi, che veniamo dall'aver assistito alle prime esperienze musicali di Russolo, noi che abbiamo, indifferenti, partecipato alla ricerca di rumori atonali e dalla me­lodia indefinita, scopriamo come la stessa tensione, la stessa intensità, la stessa forza, la stessa volontà che aveva il futurista di rompere con l'ordine delle cose, sia molto simile alle tensioni che hanno animato Vedova nel suo lavoro di ricerca di un personale cromatismo o ancora nella gestualità espressa nelle grandi estensioni pittoriche. Un'intonarumori dai suoni acuti, stridenti, voluminosi, indecifrabili, immediati, senza partitura, suoni che si scontrano perfino con le molteplici este­riorità e creatività di Tancredi, o con le lucenti esplosioni di Bacci,  o ancora evi­denziano una completa e totale disarmonia con quelle sensazioni quasi metafisiche dei quadri solari e colorati di Saetti. O un suono in completa disarmonia con una gestualità intensa e forte, comunque tale da scavare nella superficie per far uscire la luce, o un colore misterioso e nascosto, come quello leggibile nelle tele di Deluigi.

Ma quello che ci colpisce, che ci fa invidiare di quella femmina distesa sulla laguna che voluttuosamente ci guarda, é il colore della sua pelle. A noi non è dato essere partecipi all'ispirazione che ha permesso, agli artisti, che a Venezia hanno lavorato, di raccogliere le sue mille sfumature, attraverso architetture che sono il frutto della ri­flessione e della mediazione con la luce. E Venezia ha partecipato, però passiva­mente, a questi cambiamenti, forse perché troppo intenta a pensare a sé, con la ci­pria sempre pronta a rimodellare e ridefinire la propria forma, anche quando qual­cuno stava frugando silenziosamente nella sua scatola dei trucchi. Ci hanno prova­to Sansovino, il Palladio e qualcun altro, e non ultimo Scarpa, a modellare quel profilo, ma la luce, il colore, l'oriente, il mare, l'oro sono essenziali per la sua figu­ra, sono elementi naturali, che armoniosamente si combinano con quei disegni ar­chitettonici, con quelle idee che hanno animato la creatività di chi questa città è riuscito a possedere.

Ma poi ce ne torniamo a casa, e contenti. Svanisce quel primitivo desiderio di ri­tornare nel ventre di chi ci ha generato. L'abbandoniamo a volte volentieri, dopo aver assaporato l'odore delle cose belle, ma quelle cose, quelle stesse di Gozzano, che non vogliono ringiovanire, e che richiamano la nostalgia di una bellezza che ci affascina, ma che è d'altri tempi, e che si manifesta nelle rughe di quella dama dove il belletto della luce o del colore non può affascinare se non per quello che è stato.

 

 

 

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Pordenone tra Cinema Muto e Fotografia

 

 

 

 

Di attività culturali alternative a quelle ufficiali, non sempre se ne sente parlare con l’intensità ed il dovuto interesse. La conseguenza è che non sempre queste manifestazioni artistiche trovano lo spazio adatto e l’interesse necessario. Non solo, queste manifestazioni, che oltremodo danno lustro alla città, trovano difficoltà anche nel reperire i fondi per continuare la loro programmazione, ancora caratterizzata da un interesse squisitamente culturale e da un relativo disinteresse per il raggiungimento di un successo immediato.

Con queste prospettive opera a Pordenone il gruppo culturale di CINEMAZERO. Un gruppo che propone rassegne cinematografiche ed esposizioni di fotografie.

Il programma delle Giornate del Cinema Muto non ha niente da invidiare alle manifestazioni cinematografiche che si tengono in città più importanti. La risonanza locale invece è afona, sarà per l’impossibilità dei protagonisti di partecipare attivamente alle manifestazioni mondane, o perché ci è difficile ricordare gli attori già vecchi quando noi eravamo appena nati.

Il programma di quest’anno è diviso in quattro sezioni. Nella prima, LA FABBRICA DELLA RISATA, sono raccolti i film più interessanti del cinema comico americano. In particolare sono state proiettare pellicole rimaste in archivio per ben 60 anni, e tra le quali troviamo anche le primi registrazioni dei due comici Stan Laurel e Oliver Hardy, che ancora non formavano la famosa coppia.

Una seconda invece dal titolo IL TERZ’OCCHIO DELL’ASIA è una retrospettiva che presenta diversi film muti indiani, recentemente restaurati e tra i quali il mitico RAJA HARISCHANDRA del 1913 di D. G. Phalke.

La terza invece si intitola GLI INDIPENDENTI DELLO STUDIO SYSTEM nella quale sono stati proiettati film di e con Monta Bell e William Wyler.

E infine la CINETECA NAZIONALE PRESENTA. A questo gruppo appartengono film italiani e non che sono stati riscoperti, dopo un lunghissimo letargo, dallo storico del cinema Vittorio Martinelli. Tra questi FRANCESCA DA RIMINI con Francesca Bertini del ‘11.

La serata di chiusura è stata invece allietata da un evento veramente interessante: Jhon Cale, fondatore dei Velvet Underground, ha suonato dal vivo la colonna sonora del famoso film THE UNKNOWN del ‘27 con la bellissima Jean Crawford.

Ma nonostante che la Academy of Motion Picture Arts and Sciense (quella delle nominations e dell’assegnazione del famoso premio OSCAR, per capirci) abbia prenotato la sezione comica per festeggiare a Hollywood, nel ‘95, il centenario del cinema, sulla manifestazione pordenonese aleggia il più cupo pessimismo. all’orizzonte si sta affacciando la scure pronta a scendere irrimediabilmente sui finanziamenti e si profila la soppressione della XIV edizione, quella più importante, quella del centenario. E mentre a Hollywood si godranno LA FABBRICA DELLA RISATA,  noi ci sorbiremo i tagli alla cultura (sport ultimamente praticato da molti amministrazioni comunali su suggerimento dei poteri centrali). I sovvenzionamenti in ritardo, l’impossibilità di poter contare su un autofinanziamento inducono il direttore della manifestazione Livio Jacob a nutrire durissimi dubbi sul futuro delle Giornate del Cinema Muto.

Il programma per il ‘95, quello del centenario, prevede diverse sezioni come: non-finction, i fratelli Fleischer, Henry King, i film di Edison 1890-1900 e una mostra di disegni e caricature sul cinema dal 1895 al 1915, programma che si regge però sulle scelte e decisioni di altri. La Presidenza del Consiglio dei ministri /direzione generale dello spettacolo che non solo deve ancora erogarci i contributi del ‘92 (e intanto nel 1993 abbiamo pagato più di 23 milioni di interessi passivi), non solo ci escludono dai finanziamenti (3 miliardi) per le celebrazioni del centennale, c’è anche la decurtazione di 5 milioni della già magra sovvenzione del 1993”.

E con molta probabilità l’anno prossimo i più forti network italiani pagheranno miliardi per avere le immagini in esclusiva (boh!) di una manifestazione già tenutasi a Pordenone.

Parallela l’attività relativa alla fotografia. Nel salone antistante l’Aula Magna si è appena creata uno spazio espositivo: ZEROIMAGE interamente dedicato alla fotografia. Si sono scelte delle esposizioni che avessero come tema gli attori nelle pause o nei set del cinema. Si sono infatti tenute delle mostre di G.R. ALDO’, di D. BEER, HOLLYWOOD IN FRIULI - IL SET: ADDIO ALLE ARMI, MARILINMANIA e immagini dal set LA DOLCE VITA.

Il direttore Guido Cecere, eccellente fotografo di fama internazionale mostra ottimismo per il futuro, giustamente convinto che la serietà, l’impegno, la professionalità sono comunque delle qualità che, nel futuro, continueranno a dare risultati positivi.

Le mostre dei fotografia” ci racconta Cecere “sono state tutte ad alto livello e veramente interessanti. Ci hanno descritto gli attori con loro debolezze, vanità, il loro carattere è stato messo a nudo. Spesso gli attori si sono rivelati più interessanti nella loro naturalezza che sul set. I fotografi ci hanno lasciato le mostre intere e queste opere arricchiscono non solo noi, ma anche tutti coloro che le vogliono consultare, come critici, artisti, studiosi ecc.

“Ma l’impegno più importante e che ha maggiormente impegnato il gruppo di ZEROIMMAGINE è stato l’allestimento della grande mostra, che si è tenuta a Villa Varda, su e di Tina Modotti. La ricerca dei materiali, l’organizzazione della mostra ci ha coinvolto moltissimo e ci ha portato alla scoperta di opere giovanili, lavori in studio risalenti alla gioventù della Modotti, allora allieva di Pietro Modotti. Ma, come dicevo l’impegno paga, tanto che questa mostra sarà esportata negli Stati Uniti. E grazie alla nostra professionalità riceveremo, sempre dall’America, del materiale della Modotti ancora inedito, che avremo cura di esporre  nella galleria Zeroimage”.

Di fronte a tale impegno mostrato sia nel campo del cinema e della fotografia, non rimane altro che registrare il senso di disagio, di fronte a prospettive non sempre rosee. Disagio provato un po’ da tutti coloro che si dedicano alla cultura con interesse e impegno, affinché molte delle opere più significative del passato e che stanno a testimoniare la storia del pensiero, non escano né dalla memoria, né escano, senza farvi ritorno, dagli archivi, dove possono essere gelosamente custoditi.

 

 

 

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Ancora sulla legge 142

 

 

 

 

Nel numero precedente ci eravamo riservati di ricostruire l’iter della legge 142, attraverso un’intervista al suo relatore presso la Commissioni Affari Costituzionali on: Lucio Strumendo. Egli sostiene che allora, alla fine degli anni ottanta, quando fu discussa in commissione la legge,  le idee, almeno  per la maggioranza dei componenti la commissione, erano complessivamente chiare, in quanto la stessa istituzione dell’area metropolitana avrebbe portato alla formazione omogenea di un territorio ben delineato geograficamente. La laguna si configurava quale arco ideale per chiudere uno spazio che delimitava territorialmente una comune cultura ed una comune storia, tutta dipendente dal nucleo storico veneziano, il quale, come ben tutti sanno, ha da sempre esercitato un’influenza determinante almeno per quel che riguarda l’amministrazione locale. Attrazione ancora fortemente sentita, visto il risultato dell’ultimo referendum relativo alla separazione dalla terraferma.

Anche l’aspetto puramente produttivo è stato ed è fortemente accentrato. Porto Marghera, fin dagli anni sessanta, è stato il nucleo attorno al quale si è espansa, verso i piccoli paesi dell’interno, tutta una economia di riflesso e, fino a non molto tempo fa, ha fornito posti di lavoro, creando ed arricchendo tanti piccoli comuni, i cui centri, con il tempo, si sono notevolmente ampliati dando origine a quell’hinterland così omogeneo e industrialmente sviluppato. Una concentrazione che si è dilatata verso sud-ovest, verso la provincia di Padova e quella di Treviso, raccogliendo da queste tutti i benefici derivanti da frequenti scambi commerciali. Il polo industriale veneziano è stato anche il propulsore economico capace di far sorgere e mantenere in vita quella piccola industria che pare essere il cuore pulsante dell’economia nei periodi di recessione.

Le polemiche, che ne sono scaturite, pare siano attribuibili a quell’area nord orientale, secondo alcuni, area di risulta. Che fare di quello che rimane della provincia.? 

L’incertezza relativa alla sua destinazione è nata anche a causa delle molte proposte avanzate dalle forze politiche, da gruppi autonomistici e da gruppi referendari, le cui proposte sono state spesso contraddittorie fra loro, altre volte fortemente fantasiose, a volte anche incostituzionali, perfino la vicina provincia di Pordenone si è offerta come matrigna di buona parte del Veneto Orientale. Termine quest’ultimo per altro coniato proprio dall’on. Strumendo, ora usato per definire quel territorio che va dalla riva sinistra del Piave fino a quella destra del Tagliamento. Un’area dunque geograficamente ben delineata e anche storicamente giustificabile, secondo il relatore della legge..

Quando abbiamo proposto in commissione questa legge” ci ha detto l’on. Strumendo, ora Difensore Civico Regionale “non vi erano molti dubbi sui criteri da adottare per la divisione della provincia. Io stesso, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Portogruaro, ho proposto una ricerca che ha fornito gli elementi per uno studio su questa zona. Sono state riscontrate in essa notevoli caratteristiche comuni. Le più significative sono individuabili nelle attività, prevalentemente agricole, che caratterizzano l’economia del Veneto Orientale. Accanto un’economia di tipo industriale, limitata però alla piccola industria e all’artigianato, ma soprattutto è il turismo a vestire di nuovo quest’area. Molti di questi processi produttivi sono già stati finanziati dallo Stato alla fine degli anni sessanta con la legge 614, relativa alle aree depresse. Una legge quest’ultima che per prima veniva definendo dei limiti geografici all’interno dei quali si doveva intervenire finanziariamente.

 “La Conferenza Economica del Veneto Orientale del ‘76, allora io ero Presidente della Provincia, fu un’altra occasione di analisi e, se volgliamo, di delimitazione del territorio. In questo seminario di lavoro si è venuta evidenziando una problematica univoca e dunque ogni legislazione o normativa, proposta dalla Provincia, veniva a interessare completamente tutta quell’area del Veneto. Questi aspetti socio economici d’altronde furono oggetto di studio e di analisi anche da parte del conosciuto economista Gasparini all’inizio degli anni sessanta.

“La conseguenza di queste osservazioni fu l’approvazione, nel 1986, da parte della Regione, di una mozione proposta dal consigliere Maganza, mediante la quale quell’area veniva definitivamente denominata Veneto Orientale. Altre leggi regionali, come la 36 specifica per il Veneto Orientale, o la 212 per la cooperazione dei paesi dell’Est, e la legge dello Stato n. 19, sulle aree di confine, non fecero altro che legittimare un’entità socio-economica, e, di conseguenza, geografica.”.

Da questa breve e precisa ricostruzione fattaci dall’on. Strumento, la separazione fra l’area metropolitana e la fascia nord orientale non appare così traumatica come alcuni sostengono. Probabilmente ricercare nella storia delle tradizioni, dei rapporti che indichino con certezza una storia comune tra Venezia e le altre parti della sua provincia, ci porta in un sentiero alla cui origine troviamo un’ampia idea di venezianità, intesa non come appartenenza ad un nucleo socio-culturale, ma piuttosto alla storia della Repubblica di Venezia, in particolare dopo la famosa battaglia di Lepanto, quando l’interesse della città lagunare dovette spostarsi verso l’interno.

Molte discussioni  e le altrettante proposte sono di carattere puramente campanilistico. Ogni ideale sistemazione del territorio porta alla luce le aspirazioni di molti politici, i quali, credo anche giustamente se non altro per le mille attenuanti che ogni politica locale comporta, tendono a realizzare un progetto che li veda direttamente coinvolti. La scelta di una città come provincia, piuttosto che un’altra, è certamente un’occasione da non perdere poiché, particolarmente nei periodi recessivi come quelli che stiamo vivendo, creare uno sviluppo nel terziario è comunque un nuova fonte di ricchezza, che va a beneficio di tutti i cittadini.

Però sarebbe comunque limitativo pensare ad una soluzione localmente delimitata, in quanto ritenere di chiudere uno spazio, anche scegliendo solamente un’uniformità socio-economica o storica, ci priverebbe della possibilità di pensare ad una regione, molto più ampia rispetto a quella veneziana, a quella veneta, o friulana o ancora trentina. A qualcuno piace pensarle tutte assieme. E’ questo il momento, se proprio si vuol risalire ad un’unità storica, di rivalutare l’antica estensione della Repubblica di Venezia, per promuovere, in queste zone di confine, una collaborazione economica capace di sfruttare l’abbattimento delle frontiere dell’Est europeo e dove una nuova storia, soprattutto economica si va riscrivendo.

“Ecco tutte queste leggi, che si sono fatte, solo apparentemente, a mio avviso” continua l’on. Strumendo “mirano alla delimitazione in piccolo del territorio. E’ vero che le nuove necessità economico-produttive pretendono un’amministrazione snella, veloce, pronta ad essere immediatamente al servizio dei cittadini, ma è anche vero che l’Italia ormai va verso una forma amministrativa di tipo federalista. Un federalismo non inteso nel senso della divisione netta o fortemente autonomistica di alcuni territori, non delle piccole nazioni, ma piuttosto penso ad un federalismo che presenti significativi decentramenti amministrativi, dove vi possano trovare origine notevoli iniziative autonome, in grado di essere anche espressione di una collaborazione economica più ampia capace di superare ogni limitazione puramente territoriale.”

 

 

 

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Portogruaro: città della cutura

 

 

 

 

Abbiamo chiesto a Andrea Martella, giovane assessore alla cultura del comune di Portogruaro di esporci alcune delle proposte per il rilancio del territorio interessato a far parte della nuova provincia, ma anche ad essere conteso dal vicino Friuli.

“La costituzione della nuova provincia non deve essere un presupposto per una separazione netta del territorio del Veneto Orientale, che conta due realtà distinte, da una parte l’industriale San Donà e dall’altra l’agricola e terziaria Portogruaro.

Io, per il rilancio della città, punto essenzialmente sulla cultura e sul terziario. È vero che Portogruaro, dove sono presenti quasi tutti tipi di Istituto superiore, ha una frequentazione di studenti che ormai sfiora le diecimila unità. Un numero considerevole per una cittadina che ha un numero d'abitanti di poco superiore al doppio. Ciò sta naturalmente a dimostrare che il bacino d'utenza della cittadina del Lemene è molto ampio, e quindi mostra d'essere un importante punto di riferimento per buona parte del territorio limitrofo. Mi pare un buon motivo per approntare una seria politica di rilancio di tutto il comprensorio. In particolare, quest'Amministrazione, punta essenzialmente su due aspetti: il primo è di tipo strettamente culturale, il secondo, quasi a corollario del primo, è il turismo.

Per quanto riguarda il primo, quello che maggiormente mi compete, mira a sfruttare buona parte delle strutture scolastiche già esistenti. Ci sono due grandi Istituti l’I.T.I.S. e L’Istituto Tecnico Commerciale. Queste strutture realizzate tardi, ma pensate con ampio anticipo sui tempi del loro sfruttamento, stanno dando i primi frutti. È stata infatti appena istituita, in collaborazione con facoltà di Architettura di Venezia, una laurea breve presso l’Istituto Industriale. Per il momento conta un numero chiuso di studenti, una sessantina circa. Tutti i corsi si svolgono nella sede dell’I.T.I.S. e sono tenuti da insegnanti dell’Università, e da contrattisti.

Visto l’interesse mostrato dalla cittadinanza, anche l’Istituto Tecnico Commerciale ha avanzato la candidatura come sede per un corso di Laurea breve in Economia Aziendale. E infine, sarà un mio impegno personale l'istituzione di un corso, sempre a livello universitario, di arte e spettacolo, sempre in collaborazione con la facoltà di lettere dell’Università di Venezia.

“ Un po’ l’immagine che vuol dare alla città. Mi pare di capire che buona parte dell’impegno miri essenzialmente alla ricerca di un primato culturale attraverso la valorizzazione e l’utilizzo delle strutture più importanti e già esistenti”.

“Ci tengo però a mettere in evidenza che l’impegno dell’Amministrazione non è proprio isolato. Nel territorio operano molti Centri Culturali, e quindi molte sono le iniziative suggerite dalla popolazione. All’Amministrazione non spetta che coordinarle, realizzarle e dare a queste proposte il maggior riscontro culturale possibile. È ormai conosciuto l’impegno della Fondazione Musicale di Santa Cecilia a Portogruaro. I corsi di perfezionamento, organizzati da quest'Ente, sono ormai a livello internazionale. Nel mese di agosto e di settembre Portogruaro è frequentata da giovani, musicisti e non, provenienti da tutte le parti dell’Europa. Ci sono concerti quotidiani in città e molti sono tenuti nei paesi vicini. L’orchestra della Fenice è spesso presente. Sarà impegno mio e dell’Amministrazione ampliare e sostenere ulteriormente queste proposte.

Anche per le arti figurative vi è un certo impegno. Abbiamo da poco riaperto la Galleria d’Arte Contemporanea. Vi è in progetto l’apertura di un Museo Civico nel quale esporre parte delle opere in possesso del Comune e dove finalmente collocare le tre tele e le molti incisioni di Luigi Russolo.

“So che in città ci sono altri musei, che però non sempre hanno una sistemazione adeguata, per cui diventa difficile la loro fruizione”.

“Portogruaro ha una struttura urbanistica e architettonica particolare. È certamente un po’ la Venezia, come amava dire il Nievo, di provincia. Ha una storia che si può leggere sui muri. Ha quindi bisogno d'essere ulteriormente conosciuta, valorizzata, salvaguardata anche. Non ha però bisogno di restauri selvaggi, come sono stati fatti durante gli anni sessanta, male per altro sofferto dalla maggior parte delle città italiane. Per questo è mio compito recuperare questa storia, tenere le tracce del tempo, dei suoi percorsi. Ho un’idea fissa: restaurare parte delle strutture industriali della vecchia fabbrica di Perfosfati. Il comune sta acquisendo l’area ed è mio impegno realizzare un piano culturale che coinvolga tutte le Associazioni Culturali del comprensorio. Il quello spazio, immenso, possono essere attuati molti progetti, non per ultimo la creazione di uno spazio culturale polifunzionale e di sostegno anche alle attività universitarie che, spero, si possano realizzare appieno. Ma è presto per approfondire quest'argomento.

Per il momento è sufficiente anticipare che la villa comunale, appartenuta alla famiglia Marzotto, sarà finalmente adibita alla sua funzione per la quale fu acquistata vent’anni fa. Sarà ampliata la sede della biblioteca, il museo Paleontologico Gortani avrà finalmente una sede più idonea. Le sale saranno quindi disponibili per le molteplici attività, come conferenze, presentazioni di libri, e quant’altro. Non ultimo vorrei citare il Gruppo Archeologico del Veneto Orientale che oltre ad aver dato una notevole mano al riordino e alla gestione del Museo Concordiese, ha anche operato con successo. Importanti scoperte archeologiche, prevalentemente romane, sono state fatte da questo gruppo, e inoltre, in collaborazione con la Sovrintendenza, ha portato a termine scavi di un certo valore.

E del secondo aspetto, quello turistico?”

“Il turismo è come dire la sovrastruttura per lanciare Portogruaro come punto effettivamente di riferimento per tutta l’area del Nord Est. Negli anni passati lo Stato aveva contribuito a far di Portogruaro un centro di snodo per le comunicazioni. Tre ferrovie, due autostrade mi pare siano sufficienti per promuovere una politica essenzialmente fondata sul turismo. Alle migliaia di turisti, che vengono a passare le loro vacanze sulla costa adriatica, bisogna offrire un itinerario interessante e che abbia un certo valore culturale, e che nello stesso tempo riporti alla luce gli antichi percorsi, attraverso i quali, per centinaia d’anni, le popolazioni del Nord hanno commerciato, ma soprattutto, hanno fatto permesso il passaggio delle idee che hanno contribuito a dare un’identità socio-culturale a questo territorio.

 

 

 

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