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Carmengloria Morales
Galleria Plurima -
Udine
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Io non voglio dipingere. Io dipingo. Risposta questa di Cermengloria
Morales che induce a riflettere sul significato della frase, sul suo
contenuto. La distinzione fra l'essere ed il fare qui si manifesta
nella sua più ampia accezione. E' però la stessa che ne scaturisce dopo
la visone dei dittici dell'artista.
Se quello di sinistra è dipinto, quello di destra è vuoto, se quello di
sinistra è il risultato del dipingere quello di destra ne è il voler
dipingere. E quest'ultimo non sta certo in attesa, poiché esso è finito.
Non fa parte dell'azione del dipingere, ma fa parte del dipinto come
registro, come confronto, come contrapposizione tra l'essere e il non
essere. E' contemporaneamente affermazione del possibile, come ulteriore
definizione del divenire, una partecipazione attiva, anche se
antitetica, al corpo della pittura.
La pittura di Morales dunque non è solamente fatta di colore, segno e
gesto, ma contiene una parte che non è leggibile se non nel contesto
dell'azione artistica, in quell'ambito dove non vi è limitazione al
significato del fare, dell'usare gli strumenti specifici della pittura.
Tra le componenti dell'agire la materia ed il segno sono gli elementi
linguistici che maggiormente incidono nel progressivo operare
dell'artista. Il corpo della pittura viene così a delinearsi come
momento di registrazione dell'azione pittorica. La pennellata, che
all'inizio appare corposa e satura, va via via asciugandosi fino a farsi
lieve traccia e abbandonare così l'azione della copertura cromatica ed
entrare in quella più lieve ed eterea della trasparenza. Un
ricongiungere ancora una volta due elementi che linguisticamente
promuovono un'unione che va a risiedere in quel problematico e creativo
momento dialettico - apparentemente senza sintesi - che concettualmente
caratterizza l'operare di Morales.
E in questa sintesi tra il pensiero e la realizzazione materialmente
operativa, si delineano gli elementi contrapposti, ma comunque
complementari, dell'idea che muove ogni operazione artistica. Nei quadri
di Carmengloria Morales è leggibile quell'aspetto umano e proprio di
una sensibilità che viene - come anche nei recenti tondi - pian piano
svuotata per lasciare poi spazio alla tensione premoni-trice di un
energico riproporsi.
"Per me, un quadro è una somma di distruzioni. Prima faccio un quadro
poi lo distruggo. Ma alla fine nulla è andato distrutto."
Quest'affermazione di Pablo Picasso riportata nel catalogo della recente
mostra di Carmengloria Morales alla galleria Plurima di Udine,
sintetizza in modo preciso l'operare della pittrice cilena. Alcune delle
opere esposte sono dei dittici: una tela, di sinistra, dipinta e una, di
destra, ancora grezza. E' proprio la loro collocazione che induce, se
seguiamo l'ordine logico di lettura europeo - da sinistra a destra - a
pensare ad un'operazione prima di costruzione e poi di distruzione
dell'opera stessa. La chiave di lettura che dunque ci offre l'opera
della Morales, ci porta a pensare che esiste una tensione tra il finito
e l'indefinito, tra il pieno ed il vuoto, tra il dipinto ed il
non-dipinto, tra l'atto e la potenza. La tela grezza non è dunque
pittura, ma lo può diventare in quanto non si pone come alternativa al
quadro finito, ma è dentro al procedere della pittura stessa, e tende
perciò a rappresentare concettualmente lo svuotamento dell'energia del
dipingere, per riproporsi poi alla fine come nuova pittura in potenza.
La lettura che viene proposta al fruitore è in sintesi una lettura
dinamica, sempre pronta a proporsi e riproporsi nel ciclo continuo ed
ininterrotto del dipingere.
La mostra evidenza anche un'altra presenza concettuale molto importante
della pittura della Morales. Sono infatti esposte delle opere di forma
circolare. E' dunque questa recente utilizzazione del cerchio che offre
una nuova, ma con questo non diversa, chiave di lettura.
Il cerchio è una figura geometrica che non ha né inizio, né fine; è una
forma che racchiude all'interno di sé il vuoto ed il pieno, il definito
e l'indefinito: è un procedere all'infinito in uno spazio non-euclideo,
che riconduce in fondo al punto di partenza. E' un proporsi che mai
trova una definizione. E' dunque proprio questa circolarità, questo
ritornare continuamente ed incessantemente al punto di partenza, che fa
delle opere della Morales un interrotto operare in grado di riprendere,
nella forma, l'irrequieto procedere delle vigorose pennellate che,
prepotente mente, percorrono la tela. Si realizza perciò l'esigenza di
rendere tangibili e percettibili il gesto, il segno ed il colore che si
vanno così addensando all'interno dello spazio circoscritto del cerchio
stesso.
E' infatti la sua pittura energica e continua, sempre in movimento,
fluttuante, come intermittenze ottiche, tra geometrie irregolari pronte
a fornire una costruzione spaziale ritmica tale da indurre lo sguardo a
farsi avvolgere all'interno della struttura circolare dell'opera stessa.
Le intense pennellate vanno elegantemente esaurendosi con l'esaurirsi
del colore e lasciano così sulla superficie segni cromatici che,
intrecciandosi come la trama e l'ordito, definiscono lo spazio in cui
l'immaginazione vaga tra la visione e la fantasia. E' dunque la materia
a lasciare una traccia definita su di una superficie multistratificata
di segni e colori che ancora appartengono al ciclo dorato del sole, ma è
anche la stessa dinamicità del gesto che impone una medesima dinamicità
di lettura.
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Gianni Asdrubali
Galleria Plurima -
Udine
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Dopo Fontana la pittura è andata man mano privilegiando lo spazio, ed è
lo stesso spazio ad impegnare ed interessare la pittura di Gianni
Asdrubali, certamente in un modo e con strumenti alquanto diversi. Non è
più un gesto positivo che segna il superamento materiale del limite
proposto dalla tela di un quadro, quanto la presenza dinamica di un
segno che induce ad una personale interpretazione della superficie,
nell'estenuante ricerca di un'armonia spaziale ricca di luce e di
leggerezza gestuale.
Il librarsi sulla tela del segno di Asdrubali porta in un primo momento
ad una lettura che va sottolineando e privilegiando un'immediata
soggettività, in un secondo invece, in quell'intrecciarsi armonico di
movimenti anche cromatici, vi si può intravedere un'attenta riflessione
sulla funzione dello spazio.
Questo segno, ultimamente fattosi più circolare e più discontinuo,
segna una dinamica distinta da un preciso atto di impulso, veloce, ma
non privo di una certa attenzione che si propone nel momento in cui
viene inserito posteriormente un ulteriore intervento cromatico, quasi
un corollario o un completamento di un percorso sulla superficie
inequivocabilmente bidimensionale. Non si tratta però né di un
ripensamento, né di una correzione, ma di una traccia fluida ma
certamente più mediata, come a sottolineare e consolidare la forza
ritmica del gesto.
Ma d'altro canto il procedere di Asdrubali lascia un ampio spazio
libero, non toccato dalla pittura. In questo operare in spazi diversi o
limitati ad una parte, l'artista va innestando una dicotomia - per
altro mai risolta - tra il pieno ed il vuoto, tra il finito e
l'infinito, tra lo spazio specifico del quadro e quello che sta oltre
l'apparente limite della superficie. Il movimento quindi si sperde e,
nello stesso tempo, muove verso un autoannullamento, come in un profondo
vortice quasi di instabilità, lasciando così irrisolto ogni definitivo
tentativo di lettura.
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Remo Bianco
Studio Tommaseo - Trieste
Studio Delise -Portogruaro
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Lo Studio Delise e lo Studio Tommaseo, in collaborazione con
l'Associazione Culturale l'Officina, l'Istituto per la Documentazione
delle Arti di Trieste e l'Amministrazione comunale di Portogruaro, hanno
organizzato una interessante retrospettiva di Remo Bianco. Sono infatti
esposti, nelle diverse sedi, un congruo numero di opere, un cinquantina
circa, comunque sufficienti ad illustrare e anche de finire chiaramente
il per corso creativo dell'artista milanese.
Remo Bianco, un eclettico sperimentatore, sempre pronto a ripensare e
riprodurre sé stesso, capace di polemizzare come di riflettere, pro
penso alla provocazione ma anche di sposto ad assumere atteggiamenti
ironici, è stato uno dei continuatori di quell'arte milanese che ha
trovato origine dalle proposte di Fontana, e le opere del ciclo 3D sono
certamente una delle prime appendici del movimento spazia lista.
Ma, oltre alle riflessioni sullo spazialismo, vi si trovano le
provocazioni concettuali, tipiche degli anni settanta. Egli propone il
superamento dell'idea di artista-artigiano, che limita il suo operare
all'uso degli strumenti propri della pittura. Legge re attentamente le
sue opere vuol dire perciò uscire da una logica temporale, vuol dire
cioè negare un percorso creativo strettamente legato al rapporto
temporale. Egli infatti, fin dalle prime opere, propone un'idea di
pittura diversa, indefinita, forse non sempre originale, ma che esce dai
canoni comuni, quasi stereotipati, per un'idea di arte complessa, ricca
di particolarità che lentamente si definiscono come risultato di una
somma di tanti componenti che vanno via via unendosi e combinandosi tra
loro. Ma la con seguente sintesi è priva di ogni asso luta certezza, in
quanto è punto di partenza e di riflessione per un nuovo procedere e
presupposto per rivedere una vecchia idea. Possiamo di conseguenza
vedere contemporanea mente un Bianco che ricalca le idee dadaiste, altre
volte lo vediamo teorizzare l'arte improntale (Dichiaro che le mie
impronte sono una documentazione universale che catalogherà tutte le
cose venute a contatto con me..). Altre volte ripensa se stesso - i
tableaux dorès infatti lo accompagnano per de cenni - altre volte,
provocatoria mente, lo si vede in veste di ideatore delle sculture
calde, altre ancora va analizzando le esperienze americane - Pollock -
attraverso una razionale scomposizione/ricomposizione nei collages,
mentre ancora più tardi lo si vede giocare con l'arte elementare (1978).
Viene dunque proposto, in questo ciclo di mostre, un arti sta in co
stante disagio con i tempi attuali, ma tendente al superamento del suo
status attraverso il gioco. C'é chi ve de predominare la metafora del
gioco delle carte, nella mescolabilità (collages), nel mistero e nella
collocazione sulla superficie (i tableaux dorés), e nella loro
sistemazione nello spazio (le pagode).
A coronamento della mostra, tre artisti - Alessandro Gamba, Lorenzo
Gatti e Pope - rendono, in forma del tutto personale, omaggio
all'artista esponendo tre opere che richiamano alla mente alcuni lavori
certamente significativi di Remo Bianco e del suo impegno nella sfrenata
ricerca dell'identità dell'arte in un trentennio spesso confuso ma
comunque vivo.
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Tommaso Cascella
Galleria Teardo -
Pordenone
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Una sequenza, quella proposta da Tommaso Cascella, lunga quanto un anno,
poiché ogni opera è un giorno dell'anno. Una sequenza di opere di
piccolo formato e di dimensione contenuta, caratterizza un lavoro, che
per come è stato presentato, si mostra particolare ed nello stesso tempo
impegnativo. L'aspetto esteriore, l'insieme del lavoro, immediatamente
pone a confronto la grande composizione nella sua integrità con la
singolarità dei piccoli lavori, che comunque rappresentano un'unità
creativa indipendente, in quanto la loro appartenenza ad un insieme più
grande più complesso, si mostra come il risultato di un progetto
astratto e più generale. E' dunque un'opera complessa che non vuole
solamente rincorre un disegno compositivo generale, ma che persegue
anche un'identità, mettendo in luce le particolarità dei suoi singoli
componenti espressivi e linguistici. Nella veduta dell'insieme la
composizione offre allo spettatore la complessità cromatica che, nel
corso di un anno, caratterizza il passaggio da una stagione all'altra.
Il predominio dei rossi, dei blu, degli ocra è un tentativo, sempre
legittimo per una artista, di cogliere, oltre la mutevolezza della luce,
anche il rapporto della luce stessa con gli elementi ricchi di
lucentezza o, contrariamente, di opacità. Questo confronto-dialogo va
piano piano a caratterizzare l'aspetto esteriore dell'opera tutta.
All'interno però troviamo il Cascella che conosciamo, un artista mosso
dalla volontà, sempre più intensa e più viva, di rilevare l'inesauribile
rapporto tra la materialità e il colore. In ogni singola opera è ben
evidenziata la ricerca di far convivere, come del resto ben amalgamata
appare nella realtà, la convivenza di simboli, di segni, di immagini e
della materia. E in questa singolarità possiamo vedere l'impegno
continuo di Cascella pittore, di artista in grado di raccogliere la
materia nella sua unicità in quanto corpo fisico, e di saperla inserire
in un contesto estetico, a volte anche complesso, che vede nell'azione,
nell'intensità di un segno o ancora nella purezza e densità di un
particolare colore, il punto focale di una ricerca tutta volta alla
definizione di un processo creativo capace di sottolineare, anche
astutamente, il dialogo dialettico che segna, con forza ma anche con
naturalezza, il gioco compositivo dell'artista romano.
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Stefano Cattaneo
galleria
Plurima - Udine |
Dopo la recente apparizione presso la galleria Studio la Città,
approda alla galleria Plurima di Udine. Le ultime opere si mostrano
particolarmente interessanti e, per certi versi, continuative di una
tradizione artistica che trova nel recente passato una sistemazione
estetica.
Sarebbe certamente troppo semplice trovare riferimenti all'arte povera
o, fatti i dovuti distinguo, alle esperienze dadaiste. Cattaneo lavora
certamente con materiali poveri, con oggetti che contengono di per sé
una materialità autonoma, già pronta ad offrirsi con un significato
proprio. L'abilità dell'artista non sta solamente nell'assemblarli,
quanto di creare attorno a questi una problematica più complessa,
comunque capace di uscire da una semplice definizione o interpretazione
legata ai materiali. Non credo improbabile né inesatta una lettura che
prenda in considerazione alcuni degli aspetti più specifici dell'arte
astratta; vi è infatti un consapevole sconfinamento verso un gioco
artistico che impressiona lo spettatore, fino a renderlo partecipe allo
spessore dell'opera. In quell'apparente nascondiglio che sta dietro al
plexiglass, volutamente oscurati da una pacata velatura, trovano posto
anche le cose più strane. E talmente strane da non essere una semplice
significanza delle cose, quanto una metafora delle cose stesse. Dietro
ad un sipario, rigido e poco propenso a mostrare ciò che sta dietro,
ecco affiorare ciò che della conoscenza è presente in chi si sofferma a
cercare il perché delle cose.
Cattaneo crea così un sistema di relazioni tra gli oggetti e entra nel
mondo delle cose con l'atto che spetta al pittore: la pittura appunto.
L'azione artistica di Cattaneo si muove verso una diversa definizione
dell'apparire, senza con questo ridefinire l'essenza stessa delle cose.
Ecco come l' oggetto, nella filosofia del suo esistere all'interno di un
ordine, si mostra quale disordine, poiché l'esistere dell'opera vive
nell'impossibilità di una definizione autonoma, ma confusa in quel mondo
creativo che è l'arte.
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Vincenzo Cecchini
Galleria Sumithra - Ravenna
Galleria Grigoletti - Pordenone
Studio Delise - Portogruaro |
Nella pittura di l'elemento soggettivo si mostra in modo
decisamente intenso, e questo perché l'artista interpreta il fare arte
come un momento ludico, piacevole, come puro prodotto della fantasia o
del sogno. Un'azione intensa, passionale come specchio della sua
personalità d'artista, che sente la necessità di essere esternata
attraverso delle azioni ripetitive, fatte di atteggiamenti abituali,
come definire una quotidianità vissuta con i movimenti e i gesti che si
vivono tutti i giorni
Ma quello che più specificatamente riguarda il campo dell'arte e le sue
esperienze d’artista, è certamente un giudizio che si può formulare su
di un importante momento dell'azione pittorica: la riflessione sui
materiali e sui componenti della pittura. Il colore è spesso chiaro,
etereo, dall'ampia dimensione, come a sottolineare le molteplici
potenzialità del colore stesso. Non esiste un quadro uguale ad un altro,
poiché tutti sono segnati da una relativa temporalità, leggibile nel
percorso della mano, mentre la durata dell’azione definisce, la
compattezza, lo spessore e la consistenza. Al colore Cecchini dedica
tutta l'energia propria della sua pittura, va gradualmente alla scoperta
della luminosità, dell'ampiezza, della corposità, aspetti questi che si
definiscono sulla superficie e sullo spazio attorno, recuperando così,
in un unico momento pittorico, tutti i riferimenti ai significati
semantici contenuti nel colore, e nella materia. Ecco perché "la mia
fisicità e la fisicità del materiale devono proprio conoscersi. Io devo
conoscere la materia e lei deve conoscere me. Io non faccio della
pittura se mi sento limitato o se il materiale violenta me". Le
caratteristiche proprie della materia, come la consistenza, la
permeabilità, la luminosità, la resistenza, concorrono alla formazione
del quadro, come del resto le apparenti forme.
Non c’è però in Cecchini una pittura che va verso la definizione delle
forme - operazioni queste compiute nel passato nel ciclo delle plastiche
e delle assonometrie - piuttosto vi si può intravedere uno stretto
rapporto tra il colore e la pastosità, o plasticità della materia. Gli
interventi creano spessori e trasparenze a volte causali, altri dovuti
alla celerità del movimento pittorico, comunque segni sulla superficie
che si lasciano leggere, dallo spettatore, nel modo più personale e più
introspettivo possibile, poiché se di significanza semantica si può
parlare questa vive indipendentemente da ogni altro elemento con quale
il colore va a contatto. Ogni opera di Cecchini appare essere un
elemento solitario capace di proporsi autonomamente senza ulteriori
componenti che tendono a limitare la portata emotiva e coinvolgente del
colore.
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annibel-cunoldi
Prigioni del castello -
Gorizia |
Gorizia, via Don bosco, un colonnato messo in opera dall'architetto
Piero Cunoldi. Una doppia fila di colonne doriche, poste su piccolo
muretto, che mirano all'infinito prospettico.
Gorizia, Prigioni del Castello, Annibel-Cunoldi ripensa le idee del
nonno architetto. L'indagine estetica ripropone, spesso con forme e modi
originali, un'operazione di ricerca propria delle sue precedenti
esperienze pittoriche. Non dunque un quadro bidimensionale, ma la
materia, la pietra. La stessa solidità che viene offerta dalle recenti
opere, raccoglie la forza espressiva e significativa di un materiale, la
pietra del Carso, esaltandone le caratteristiche di solidità, durezza,
freddezza e duttilità. L'intervento va dunque oltre ad ogni aspettativa,
poiché la presenza dell'immagine, del segno che contraddistingue
l'attività pittorica della Cunoldi, qui si mescola alla materia, altre
volte si posa su di essa, raccogliendo quell'aspetto, anche limitativo
se vogliamo, della superficie, limitata al semplice aspetto
bidimensionale. Altre volte la pittura, come nel caso del magnete
l'oggetto tutto, nella sua totale tridimensionalità, viene avvolto
dall'azione pittorica, fino a raccogliere quell'aspetto fortemente
significativo e evocativo dell'azione di Pietro Cunoldi. Il segno, al
sommo delle colonne, è la pittura. E' cioè quel segno che personalizza
l'opera, la rende particolare, riflettendo ulteriormente l'indagine
sulle linee e sulle superfici.
Come nelle stratificazioni, dove la materialità si riduce a semplice
supporto di quel processo dialetticao proposto dal rosso e dal nero; anche
nello stato di durata la colorazione appare accidentale, poiché la
forma, sia essa nel singolo elemento che nella composizione degli
stessi, è l'elemento determinante e maggiormente significativo. La
stratificazione qui è composita, non il colore, ma la materia nelle sue
forme più elementari quadrato, cerchio o triangolo) si pongono una sopra
l'altra fino ad assumere una dimensione autonoma, per poi ricomporsi in
altre ancora. L'effetto certamente non richiama certo alla mente l'opera
di un architetto, è piuttosto una indagine che in Annibel-Cunoldi si
ripete, si moltiplica fino ad offrire un gioco di linee di falsa
profondità, di apparente spessore, come nell'immaginario di un colonnato
che si spinge nella profondità dello spazio con ombre e con luce, con
quei chiaroscuri che ricordano la variazione tonale del colore e della
luce, ma con quel gioco proprio dei segni di tensione e di calore come
quello del zeitfeuer.
Ci appare semplice completa ma nel contempo si propone come riflessione sulla superficie, in
quel gioco dialettico tra il luce e geometria.
L'oggetto artistico assume così una forma composita, in essa si riconoscono
le figure geometriche semplici come i triangoli, che inducono
all'esplorazione della luminosità.
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Giuliano Dal Molin
BARBIERATO
Arte contemporanea -
Asiago |
l'immagine vive solo nella propria cornice.
Marlis Gruterich
Qualsiasi artista che faccia propri gli strumenti espressivi dell'arte
astratta tradizionale, muove verso l'interpretazione degli elementi
linguistici specifici di quel modo di fare arte. Viene così egli
operando delle variazioni nella struttura linguistica stessa, dove il
fare arte, spesso, non muove da considerazioni dipendenti da un aspetto
di tipo puramente contenutistico in costante riferimento ad una realtà
esistente al fuori dell'opera stessa. L'artista cioè produce un'opera
che, pur essendo significativa - perché mossa internamente da un
progetto precedentemente determinato -, è sostenuta nella sua
realizzazione da un'analisi di tipo linguistico-espressivo. Un processo
produttivo che tiene conto sia della realizzazione dell'opera in senso
strettamente operativo, sia del momento della percezione, che è
comunque controllato, se non diretto dall'artista stesso.
In questo contesto dunque muove l'attività artistica di Giuseppe Dal
Bianco e di Giuliano Dal Molin, i quali utilizzano in modo decisamente
autonomo e non senza una certa insistenza analitica, gli elementi
linguistici componenti la sintassi dell'arte astratta.
I quadri di Giuseppe Dal Bianco nascono a due colori e non sarebbero
concepibili in diverse tonalità cromatiche, poiché il momento
determinante del procedere artistico è la definizione assoluta della
superficie. Il colore, steso con una razionalità e una freddezza di
difficile descrizione, si definisce solo in un rapporto dialettico con
uno spazio bidimensionale, quasi ridotto a "tabula rasa".
Non si tratta quindi solo di un'operazione artistica alla maniera
minimalista, perché la ricerca della forza comunicativa ed espressiva
della superficie trova giustificazione in un'attenta lettura che deve
percorrere liberamente la tela per scovare i momenti più intensi della
ricerca e dell'analisi pittorica. La preziosità esecutiva, l'ordine
compositivo, la ricercatezza di uno spazio che solo in apparenza
sembra essere assolutamente ed inconfutabilmente bidimensionale, è il
risultato del lavoro di Dal Bianco.
L'apparente rottura prospettica velatamente mostrata dai due campi
pittorici sovrapposti, crea uno spazio fantastico, come una negazione di
una univoca definizione di superficie. E' uno spazio dunque che muta in
continuazione, talvolta l'immaginaria profondità viene offerta con
delle linee verticali interrotte orizzontalmente, altre volte ancora è
la luce a proiettarsi verso lo spettatore con lo spessore del colore e
la vibrazione del corpo pittorico che riproduce una sensazione di fredda
razionalità, capace di rimandare alla riflessione sulla significanza,
sull'emotività propria dell'irrazionale e dello spirituale. E' un fine
gioco nei confini tra luce e materia, dove il colore, così etereo, così
fantastico, così poco naturale, diventa uno degli esempi più intensi di
astrazione pittorica.
Le sculture di Giuliano Dal Molin muovono da una ricerca su una forma
ideale, per cui non è tanto il rapporto razionale insito nella
progettazione a condizionare la realizzazione delle sculture, quanto la
materializzazione di una forma interiore, quasi immaginaria, ma capace
di muoversi contemporaneamente nello spazio o sulla superficie fino all'esaurimento di una sua possibile collocazione sequenziale quando viene
proposta su una piatta superficie. Questi momenti creativi, fortemente
spirituali, sono il modello di una condizione di "possibilità", e nello
stesso tempo di indagine sul mondo delle idee e dell'immaginario. Ecco
dunque che le sculture di Dal Molin trovano espressione nell'offrirrsi
liberamente allo spettatore, come risultato di una mobilità compositiva.
Una forma dunque che, oltre ad estendersi razionalmente nello spazio,
offre se stessa alla molteplice interpretazione di sé perché, in quanto
idea progressiva e non definita, si fa possibile. Ecco allora il
triangolo, ora convesso, ora concavo, che si dilata e si ripropone in
modo sequenziale nello spazio, con dimensioni diverse, ora piatte, ora
tridimensionali, fino alla grande forma scultorea.
La dicotomia che immediatamente si legge nelle opere di Dal Molin nasce
da un'interpretazione dello spazio ora chiuso ora aperto. E se la
libertà della forma si realizza a tutto tondo nello spazio, la sua
limitazione è qui ottenuta con la costruzione di una griglia che diventa
parte integrante della definizione della superficie, creando così uno
stato di tensione pronto a librarsi nello spazio assoluto.
E le opere di Dal Molin portano con sé il gusto della pittura, di una
pittura fatta di materia, la graffite, che, con sottili velature,
ricopre il piano fino a farlo diventare freddo, rigido quasi a ribadire
la presenza indelebile di un limite tra la progettazione razionale e la
sua espressione più intima ed intimistica, comunque tale da rendersi
autonoma all'atto percettivo.
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Paolo
Cotani
Galleria
Plurima - Udine
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E’
un’atmosfera, quella che immediatamente si prova davanti un quadro di
Paolo Cotani, che è fatta di rarefatte emozioni, di sensazioni e di
lievi percezioni che vibrano nell’aria e che, nel loro mostrarsi,
inducono lo spettatore a seguire un tracciato di lettura che porta alla
ricerca di un primo elemento che caratterizza le sue opere: il colore.
Non a caso i recenti lavori vanno sotto il titolo del Peso del Colore,
un colore, a volte artificiale a volte artificioso, che appare essere lo
strumento capace di interpretare l’esperienza, spesso riservata e
momentanea, del diretto contatto con la realtà Per Cotani la realtà è il
quotidiano consumo della sua città, Roma, della quale sa cogliere tutte
le atmosfere che solamente il colore, nelle sue tenui e delicate
sfumature, è in grado di registrare. La sua astrazione perciò limitata
al puro significato della parola, cioè alla separazione di un elemento,
appunto il colore, dalla complessità della realtà, che nelle superfici
bidimensionali sembra essere assorbita attraverso gli elementi che la
compongono, immergendoli in aree particolari dell’alchimia dei suoi
enigmatici propositi.
La pittura
di Cotani non prescinde però dalle esperienze concettuali, perciò
l’operazione di velare il quadro, diventa quasi un nascondere una
pittura che, nonostante il nuovo intervento, continua a trasparire a
tratti, e a mostrarsi nella sua delicatezza e nella sua intensità
espressiva. L’uso del rullo per affrontare la complessa operazione delle
velature diventa una rinuncia del pennello come storico strumento di
mediazione tra l’artista e l’opera, interpretando benissimo la
razionalità gestuale – senza essere per questo un gesto informale — e 1
‘omogeneità del colore stesso, in quanto le tensioni cromatico –
sensitive, che stanno nella logica contrapposizione della copertura di
superficie e i colori allo stato puro che vi affiorano, sono
perfettamente colte e sottolineate dalla forza impressa allo strumento
stesso dall'artista.
Un altro
elemento determinante della pittura di Cortani viene ad identificarsi
nella possibilità espressiva della superficie, sulla quale ben
percepibile un ordine mentale che presiede all'organizzazione
strutturale dell'insieme e le grandi superfici frontalmente erette
contro lo spettatore sono rilette come un momento di. azzeramento di un
tipo di linguaggio – azzeramento a suo tempo progettato da Burri – per
usarne uno nuovo fondato sulla verticalità del segno posato su una
superficie che si dà come supporto e come tale diventa un elemento
significante del sistema della pittura (come ha insegnato Fontana) e più
in generale dell'arte.
La sua
pittura è dunque un percorrere una strada che segue la via della ricerca
dell'armonia del colore, scrollandosi contemporaneamente di dosso tutti
quegli interventi che possono essere confusi con operazioni di puro
abbellimento. E’ una pittura tendente a stabilire precisi equilibri tra
il colore, lo spazio e la superficie, come elementi pi vicini ad ogni
intima operazione di interpretazione del proprio essere artista.
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Peter Krawagna
galleria Plurima -
Udine
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Peter Krawagna, uno dei più significativi ed interessanti artisti
informali austriaci, ben poco esprime, nelle sue opere, della più
conosciuta tradizione austriaca, e ciò forse è la più appariscente
qualità di un artista giramondo come Krawagna. Egli infatti produce le
sue opere in zone ben distinte della terra, dalla nebbiosa e grigia
Londra, al sole e alla luce totale del deserto del Sahara, dalla verde e
riflessiva Carinzia alla creativa ed internazionale Parigi.
La vecchia caratteristica dei pittori di paesaggio inglesi, di quei
ricercatori della luce, del colore, delle intense sensazioni segniche,
rivive in quest'uomo che trova nella natura, nell'ambiente
un'ispirazione che, nel suo realizzassi, si manifesta priva di ogni
progettazione, di ogni riferimento ad un disegno costruttivo definito.
La gestualità, il colore, la composizione (preferibilmente in piccolo
formato perché è quello che riesce meglio a registrare la velocità con
la quale percorre in tempi molto brevi e dinamicamente veloci la
superficie) sono in sintesi l’appropriazione immediata delle
caratteristiche tonali della luce. Un tipo di pittura che fa del segno,
del gesto e del colore l'espressione più intensa di una forza interiore,
di un intimo umore e di una rinnovata vitalità individuale.
Una pittura dunque parzialmente imprevedibile in un imprevisto contatto
con le sensazioni naturalistiche ispirata da molteplici frequentazioni
geografiche. Questi presupposti artistici fanno dunque di Krawagna un
artista tradizionale, perché il suo essere pittore appare ancorato ad un
certo ordine con determinate caratteristiche, che vanno dal modo di
utilizzare certi strumenti, come la carta giapponese, i fondi delle
tele, la matericità, le dimensioni del pennello, fino
all'interpretazione strettamente soggettiva del colore e della luce.
Se la caratteristica che contraddistingue l'artista austriaco è il
diverso rapporto con gli elementi naturali (luce e colore), la forza
espressiva invece riflette l’impatto con la vita delle popolazioni
indigene. Il soggetto della sua pittura - che forse sarebbe bene
definire l’oggettivazione delle sensazioni - non viene interpretato una
sola volta, ma in divenire, per registrare la vastità dell’evoluzione
degli elementi ispiratori della pittura astratta.
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Teodosio Magnoni
Galleria Plurima -
Udine |
"Triangolo ascoso" è il titolo di un'opera di Teodosio Magnoni, e quel
dantesco ascoso induce ad una lettura di ricerca, di analisi. Quasi
un'operazione che porta all'identificazione di una forma nascosta,
ascosa appunto.
Le sculture di Magnoni promettono dunque una lettura più complessa, non
solo perché sono date sia tridimensionalmente, che in modo
bidimensionale sulla parete, ma perché i problemi che caratterizzano
l'operare dell'artista romano, tendono verso possibili soluzioni,
seguendo modi realizzativi apparentemente diversi. Alla forma spetta
essenzialmente il ruolo primario in quanto essa é il prodotto di un'idea
che, come tale, non può non essere costantemente in evoluzione. D'altra
parte pero la stessa modificazione non può prescindere dalla materia,
dall'elemento che oggettivamente la costituisce.
Non è quindi un caso che Magnoni adoperi materiali freddi come
l'alluminio e l'acciaio e ciò non solo per delimitare un ideale confine
tra luogo artistico e luogo percettivo, ma soprattutto per lasciare la
forma libera di avere un contatto totale con lo spazio. E nell'illusorio
ordine compositivo vi si intravede la necessità di un azzeramento
linguistico, dal quale poi muovere verso un'indagine di tipo percettivo.
L'illusorietà diventa il filo conduttore dell'operare di Magnoni, poiché
il sistema costruttivo si armonizza nella simbiosi fra la materia e la
forma, tra materialità ed idealità, fra oggetto e la sensazione
dell'oggetto.
Il peso della scultura non è dunque dato dalla materia, dall'acciaio, ma
dalla forma. E la leggerezza, che contraddistingue l'opera di Magnoni, è
il manifesto dell'estrema essenzialità della forma stessa che qui muove
attorno all'idea di vuoto. Un vuoto pero che non può essere
semplicisticamente inteso come mancanza di materia, ma come spazio in
cui la materialità, in quanto presenza delimitante,è la definizione del
suo contrario: il vuoto. Il corpo delle sculture dunque è il prodotto di
una ricerca sulla superficie, la quale tende ad avvolgere lo spazio fino
a percorrerlo assotigliandosi in un'appendice in fuga, in una linearità
che conduce all'infinito.
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sei altrove
museo Casabianca -
Malo |
Claudio Cerritelli propone un inedito dialogo tra alcuni protagonisti
della pittura degli anni settanta, Olivieri, Satta e Sermidi e i giovani
Cortese, Pellegrini e Ruaro. Presentare artisti che si misurano con
strumenti, per così dire classici, non significa mettersi in
competizione con mode o sistemi estetici ora in auge, vuol dire invece
verificare la validità degli elementi linguistici della pittura
astratta, come il colore, il gesto, il segno, la superficie, soprattutto
in periodi come questi, dove i media televisivi, giorno dopo giorno,
mortificano le altre forme comunicative.
Ad onor di logica, però, sembra che l'utilizzo di un determinato
linguaggio o di una particolare sintassi espressiva, sia la garanzia
dell'esistenza di un sistema espressivo e il fatto che nuove generazioni
si offrano quali continuatori o neo-esploratori di un linguaggio
astratto, dimostra che questo linguaggio non ha ancora esaurito la sua
funzione comunicatrice, anzi tale appropriazione da parte delle nuove
generazioni si configura come approfondimento di una grammatica linguistica che può considerare il fenomeno della pittura come un fenomeno
ancora in grado di esprimere certi contenuti, o si venga, in ultima
analisi, a configurare come ultimo atto tendente alla saturazione di
tale linguaggio.
Ad un sistema analitico e riflessivo appartengono le opere di Satta,
nelle quali l'indagine muove dal colore verso la luce, proponendo
immagini costruite nella dinamica spazio-temporale dell'agire
materialmente, di concentrare il suo operare tra un movimento fatto di
immagini indecifrabili e variazioni tonali spesso ottenute con velature
e mascherature cromatiche.
Ancora un discorso sulla superficie e sul colore viene fatto da Sermidi,
il quale concentra l'atto pittorico in una gestualità ancora raccolta e
silenziosa, fatta di ampie campiture dalle diverse dimensioni e
concentrazioni cromatiche. La luce viene individuata e sottolineata
nella molteplice variazione della lucentezza o dell'opacità.
Olivieri realizza la superficie attraverso lievi velature, nelle quali
si legge la ricerca di uno scarto cromatico capace di rendere il colore
più fluido, più riservato, come a sottolineare una divisione prospettica
del campo pittorico attraverso la separazione di zone più o meno
colorate o più o meno intrise di colore.
La ricerca e la messa a nudo di una luce nascosta sotto la superficie è
l'intento dell'atto gestuale di Gianni Pellegrini, il cui scopo è
senz'altro quello di distruggere la superficie come atto certo, per dare
al colore il ruolo di maggior interprete della luce, ultimo oggetto
dell'indagare dell'artista.
Per Ruaro invece la pittura rappresenta un mezzo per investigare sulle
proprietà del colore, in quanto fenomeno nel quale è possibile
raccogliere, in fantasiose ed irreali profondità, gli aspetti più intimi
e riflessivi dell'azione pittorica come mediazione tra la luce e la
materia.
Anche Cortese indaga sul colore come espressione di un fare pittura che
tende a collezionare ed interpretare ogni variazione cromatica e poter
così raccogliere e registrare le molteplici tonalità che la luce è
capace di mostrare nelle lente, ma soli de ed efficaci campiture
cromatiche.
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Gianni Mantovani
La Roggia -
Pordenone |
La costruzione della superficie è l'azione artistica preminente di
Gianni Mantovani, ma non è il solo elemento linguistico sul quale va
depositandosi l'energia e la forza del dipingere dell'artista. Vi è in
effetti presente un momento dialettico tra i di versi linguaggi che
contraddistinguono l' arte astratta: la stessa superficie (di pregevole
fattura), i colori (prevalentemente fondamentali) e il segno (di
liciniana memoria). Quest'ultimo è il primo elemento di contrasto poiché
il segno sa, nell'azione di incidere la materia, rendersi momento
specifico della superficie proprio perché scaturisce dall'interno della
superficie stessa, alterando, attraverso le diverse intensità specifiche
dei colori, il mostrarsi della luce
La composizione dell'opera, qui distinta proprio dal quel segno
incidente sulla grassa superficie, tende, in queste più recenti opere, a
confrontarsi con i grandi spazi, con la qualità della luce. E la stessa
costruzione spaziale trova come primo limite di visore un segno che
separa nettamente le superfici tra loro affiancate. Di conseguenza il
segno si trasforma in una linea colo rata, e attraversa e definisce
tutto il campo pittorico, posandosi dolcemente sopra, come a rendere
ancor più cupa e silenziosa l'apparente oscurità della superficie dai
cromatismi diversi.
L'azione artistica si sposta poi a consolidare la dinamica composizione
dell'insieme pittorico in un ampio spazio realizzato con minimi elementi
che si propongono come frammenti di un progetto geometricamente
allargato e che segue, in questa sua dinamica evoluzione spaziale,
l'intensità decrescente della luce o del suo contrario: l'opacità.
E la materia, in queste ampie composizioni, si rende ancora una volta
protagonista proprio per la forza con cui partecipa al pro dotto
artistico, quasi un'azione di azzeramento attraverso colori di diverso
spessore, ma anche di vario cromatismo, sui quali campeggiano tratti e
figure geometriche che arricchiscono ulteriormente la già preziosa
campitura di fondo.
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Graziano Marini
Studio Delise -
Portogruaro |
Dieci anni a contatto giornaliero con Piero Dorazio, significa prendere
in esame la luce, il colore. Quesa è l'esperienza e l'ipotesi del futuro
di Graziano Marini.
Nelle recenti opere esposte presso lo Studio Delise di Portogruaro vi si
possono intravedere certo delle analogie con uno di protagonisti di
Forma 1, ma chi presta una maggiore attenzione nella lettura e propone
un'interpretazione formale può scoprire come l'artista umbro ha avuto
modo di approfondire certi insegnamenti e di affrontare autonomamente
un'indagine sul colore e sulla luce.
Per Marini la pittura è uno degli aspetti della sua ricerca, infatti
l'analisi del colore e della luce viene a proporsi anche nella scultura,
e ciò propone una dinamica espressiva maggiore e di forte rilevanza
estetica. La materia, che non diventa mai colore, in quanto è superficie
dipinta, mantiene la sua forma nello spazio, proponendosi come mezzo con
il quale l'artista può misurare, attraverso la tridimensionalità e le
molteplici sfacettature del corpo scultoreo, la forza espressiva della
luce. Si vengono così alternando campi di luce, con altri di ombra,
quasi a ricercare delle trasparenze.
Non dissimile è l'azione pittorica. Nel'opera bidimnsionale Marini
lavora con lo spessore del colore, con l'illusorietà di campi in primo
piano con altri che ripropongono fughe e alternanze di luce. Il continuo
lavoro di stratificazione del colore, nella ricerca di una trasparenza
capace di reare delle diverse vibtrazioni, vi si può vedere il mestiere
d'artista, la capacità di far dialogare sulla superficie dei colori
diversi. Si alternano dunque letture che sembrano, per certi versi,
contraddirsi o essere limitate da una azione di copertura, di velatura
di un campo pittorico sottostante, con un'altra invece di scoperta di
svelatura come se l'artista volesse andare alla ricerca di una
superficie sottostante, di una luce che sta sotto il lo spessore del
colore, come un'apparizione così intensa da far pensare ad un movimento
della luce, ad una sua apparizione dal buio e dalla materia.
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Marco Paladini
Galleria d'Arte Contemporanea - Vienna
Galleria Millenium - Milano |
Le opere pittoriche di Marco Paladini, si mostrano, ad un prima visione,
estranee ad una investigazione di tipo esclusivamente analitico, poiché
all'interno dell'opera appare manifesta una forte presenza gestuale,
espressa in un primo momento dalla rottura casuale, durante lo strappo
dal muro dei manifesti pubblicitari, dal loro secondario utilizzo come
substrato alla superficie, ed infine dall'impulsivo intervento del
dipingere. E' evidente, in questo articolato agire, che il processo
analitico viene essenzialmente espletato durante la composizione formale
dell'opera. Un procedere spesso complesso, ma strettamente legato al
divenire temporale dell'azione pittorica, in quanto le stratificazioni
cromatiche, le velature, i piani chiaroscurali seguono il gioco del
divenire e scomparire della luce. E se da un lato vi si intravede la
presenza, spesso determinante di un progetto, ispirato alla
determinazione dello spazio, sul quale va a posarsi l'azione pittorica,
dall'altro la gradualità cromatica e la diversa lucentezza sembrano
essere il risultato di una dinamica e reiterata azione di frantumazione
del procedere pittorico.
La sovrapposizione di due teleri, solo apparentemente indipendenti,
viene definendo la struttura formale dell'opera, fornendo così il corpo
al quadro stesso. Un corpo tale da arricchire la superficie di spessore
e di movimenti cromatici auto nomi. Il risultato è un piano sfalsato nel
quale la ricerca pittorica tende ad assumere delle svariate forme,
autonome e oggettive, tra tutte le molteplici e possibili. Alla fine si
va delineando uno spazio cromatico che, come metafora del divenire, mira
ad una contemporanea rappresentazione di strutture fondamentali, le
stesse delle quali vive la pittura, ma che sono anche capaci di creare
un ritmo che, nella superficie, segna avvicendamento del colore nelle
varie sequenze o individua gli intervalli di una gestualità nella quale
non può che venire definita la significanza delle cancellazioni e delle
velature.
Le opere di Paladini propongono una particolare lettura di alternanza,
dove gioca una logica fortemente sostenuta dall'ambiguità dei contrari
del chiaro/scuro, caldo/freddo, del pieno/vuoto, all'interno però di uno
spazio capace di diventare un oggetto coloristico espanso e vibrante o
ancora come un velario dal quale traspaiono le fasi della saturazione
del colore per raggiungere una pittura ricca di luce e comunque tale da
raccogliere e far propria la ricercatezza cromatica dei colori del
Mediterraneo.
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Gianfranco Pardi
Galleria Plurima/Turchetto -
Milano.
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Una pittura in evoluzione quella che Gianfranco Pardi ha presentato alla
galleria plurima di Udine. Le strutture, come elemento progettuale di
netto carattere minimalista, in perenne stato di disequilibrio e di
instabilità, vanno, in queste ultime espressioni pittoriche, via via
occultandosi fino a trasformarsi in una tenue traccia su di uno spazio
pittorico rigorosamente bidimensionale. I segni proposti da Pardi sulla
superficie interpretano forme prospettiche ricche di linee e di tracce
visive che inducono lo spettatore ad entrare visivamente nello spazio
del quadro., dove si vanno via via recuperando, e solo in parte, le
esperienze artistiche passate, soprattutto quelle di matrice
architettonica sfociate sfociate, e a suo tempo maturate, nelle
strutture spaziali tridimensionali.
Il gioco geometrico, fatto di linee prospettiche o di linee di fuga, si
mostra come un ideale momento di creazione di uno spazio virtuale -
quello della superficie piatta appunto - che ripropone senza esserlo
quindi, quello reale, quello cioè che accoglieva nella completezza e
nella totalità tridimensionale l'oggetto scultoreo negli anni ottanta. E
l'esperienza minimalista, neopalstica e suprematista qui si combina con
nuove e recenti esperienze pittoriche. All'interno di questa duplice
possibilità interpretativa, da parte dell'artista, dello spazio -
creativo formale da un lato e più espressivo e pittorico dall'altro - e
in questo evidente contrasto degli elementi artistici propri della
pittura, si può giustificare o definire l'evoluzione in senso pittorico
dall'artista milanese, il quale però riesce ancora e nello stesso tempo
a mantenersi in quell'ambiguità - che lui stesso ha spesso difeso, cioè
il non essere specificatamente né pittore, né scultore, anzi di riuscire
a stare nel contempo al limite della pittura e al limite della scultura.
E mantenendosi in questa posizione (il cui limite e definizione sono
strettamente legati alle momentanee e temporali definizioni dell'uno o
dell'altro) tende a privilegiare l'idea in quanto progetto e perciò
ricca di tutte quelle potenzialità realizzatrici di cui sono prive le
realtà oggettive.
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Paolo
Patelli
Studio Bassanese -
Trieste |
Paolo Patelli, durante un lungo dialogo, affermò: fin dall'inizio della
mia attività di pittore, ho fatto una pittura che era dentro la storia
della pittura.
Le recenti opere di Patelli non sfuggono certo a questa logica, né a
quella dell'evoluzione del pensiero estetico dell'artista veneziano.
Nelle opere da poco viste da Turchetto a Milano e alcune delle stesse
presenti allo Studio Bassanese di Trieste, riecheggiano molte esperienze
pittoriche personali, che vanno dall'utilizzo di materiali poveri di
recupero, fino all'esaltazione del colore come elemento espressivo di
forte e vivace intensità comunicativa.
Ma a leggere attentamente l'opera di Patelli si possono intravedere
molte indicazioni che tendono a sottolineare alcuni particolari e ancora
promuovere una singolare lettura dell'opera stessa. Una prima
annotazione viene sicuramente dalla composizione del quadro stesso. Se
da un lato vi si trova un riferimento a certe tensioni mistiche esperite
in giovane età - non credo che sia un caso che l'opera più grande sia
titolata Stonehenge - dall'altro vi si scorgono riferimenti all'arte
povera, alla materialità dell'opera. La forte presenza della materia ci
permette di parlare di quadro-oggetto. In esso infatti, oltre alla
presenza di materiale non espressamente pittorico, vi si scorge l'azione
ed il conseguente recupero di una certa operazione manuale legata
all'agire, al fare materialmente pittura. Nulla ci esclude di
intravedere in questa complessa operazione il tentativo di conciliare il
pensiero con l'abilità che si riconosce al pittore.
Un quadro-oggetto dunque capace dapprima di proporsi come il risultato
di un'idea, di un pensiero, di una teoria, dall'altro invece di offrirsi
come
risultato di un'azione ludica, fatta di interventi con le mani o con il
pennello, per ricreare nello spettatore la sensazione di una materia
informe e pronta ad essere manipolata, muta, ma anche conservata e
unita.
Questo duplice aspetto dell'arte di Patelli appare evidente anche nella
composizione formale, dove elementi densi e ricchi di significato
autonomo si alternano, ordinatamente, con spazi vuoti. Una pausa che fa
riflettere, ma che nello stesso tempo diventa un'azione che muove in
direzione dell'ordine e della riflessione e dove il confine tra il
mettere ed il togliere è così labile che richiede una riflessione
sull'importanza della pausa come momento integrante la composizione, ma
anche come registrazione oggettiva dell'agire, del mettere e
dell'occupare lo spazio nell'incessante divenire nel tempo.
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Carlo Patrone
Galleria Plurima -
Udine |
Sarebbe una considerazione certamente sbagliata se soffermassimo la
nostra analisi al solo cambiamento formale rispetto alle opere
precedenti di Carlo Patrone, cioè limitare la nostra osservazione
all'abbandono del frammento quale traccia cromatica come risultato dei
processi di acidificazione. Nelle Nuove Istocromie - titolo dell'ultima
raccolta proposta alla Galleria Plurima e contemporaneamente in coppia
con Zavagno presso il medioevale Municipio di Venzone - vi è invece un
approccio diverso con la materia e con lo spazio. Non più
l'installazione come risultato finale, non un percorso ricco di
frammenti su superficie diverse quali il muro, oppure inventate come si
presentavano nella mostra curata da Filiberto Menna nel 1988. Vi è ora
una grande superficie all'interno della quale avvengono le
trasformazioni chimiche e le mutazioni fisiche dei componenti della
carta. La partecipazione dell'artista non è più attiva solo nella fase
compositiva del percorso finale, ma complice e autrice indiretta di una
trasformazione e di una mutazione biologica che non si va definendo se
non nel suo farsi altro e Patrone ha la consapevolezza di essere
partecipe del mutamento della materia fino al momento della sua rottura
o della sua distruzione.
Ecco perché istocromie e non un semplice processo di colorazione della
superficie con strumenti impropri della pittura. Un'azione artistica che
fa mutare, nello stesso tempo, superficie e materia. L'accidentalità
delle sfumature cromatiche e delle alterazioni di superfici sono spesso
determinate da una specifica e casuale formazione della carta e della
sua essenza atomica e fisica. Patrone ne prevede certamente il mutamento
con la consapevolezza razionale che il mutare ed il divenire della trama
e del tessuto sono il motore del farsi altro della materia, proprio nel
momento del suo disfarsi.
Non è come appare a prima vista una fredda ed impersonale realizzazione
di una scala cromatica, quanto un partecipare con il fare dell'artista,
alla mutazione della materia. La conoscenza della variabilità chimica e
fisica permette di comporre una superficie che, se da un lato diventa
chiusa e definita in quanto bidimensionale, dall'altro è l'eterno
produrre - attraverso un processo di astrazione - materia, cromatismo,
spessore. E' dunque la continua ricerca di un'identità quale
particolare e personale tassello di una più generale concezione
estetica.
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Achille Perilli
Quartiere latino - Conegliano Veneto |
Pittura colta quella di Perilli. D’altronde il suo passato, le lezioni
di Venturoli, l’amicizia con Prampolini e Ripellino rappresenta
l’impegno e l’interesse per una certa pittura. Una pittura di
riflessione, di analisi e le rivisitazioni di Kandinskij, o di Mondrian,
o ancora le opere ispirate al futurismo, non sono altro che il risultato
di una riflessione sulla forma, sul simbolismo cromatico, sulla
geometria.
Questi aspetti, specifici delle esperienze astratte degli anni
immediatamente prima della seconda guerra mondiale, accompagnano
l’impegno artistico di Perilli. La partecipazione al gruppo Forma, e la
partecipazione alla mostra pittura astratto-concreta, muove l’artista
verso una identificazione della pittura con un’interpretazione dello
spazio: Sono appunto degli anni cinquanta le opere di tipo
costruttivista, nelle quali la forma tendente a espandersi
geometricamente nello spazio, risulta fluttuare all’infinito su una
campitura monocromatica dalle apparenti aperture verso un non
identificato spazio.
Buona parte delle carte esposte però sono riferibili agli anni cinquanta
sessanta Vi troviamo anche opere fortemente segnate dalla presenza di
una spessa materia, sulla quale l’artista interviene con leggere
graffiture o segni, comunque con l’intento di ricercare quasi dietro la
materia, delle tracce di una curiosità che porta a riflettere su tutte
le componenti della pittura.
Altre opere mostrano invece una notevole curiosità verso le
sperimentazioni. I lavori che ne escono sono invece il risultato di un
approfondimento teorico delle avanguardie artistiche che hanno segnato
il secondo dopoguerra. Forti citazioni Dadaiste, Costruttiviste, si
possono intravedere, comunque sempre discrete, solo parziali spunti dai
quali poi la grande creatività dell’artista romano si libera.
E questo continuo cambiamento, questo improbabile ripensamento sul
proprio agire, segnano un approccio solo apparentemente freddo
dell’artista con i fatti dell’arte. Egli rimane sempre pronto a
raccogliere la mutevolezza del tempo, la diversità di strumenti
espressivi e di linguaggi.
Ecco da questo tipo di lettura appaiono i suoi quadri più famosi, forse
i più conosciuti, quelle geometrie che incantano per la loro lievità e
per la loro astratta consistenza materica. Sembra che in Perilli il
processo evolutivo si muova al negativo, e cioè in quel processo in cui
la sperimentazione mira più alla negazione di un linguaggio e meglio
alla sua saturazione con l’intento che la curiosità dell’artista miri
all’apertura di nuove strade e di nuovi ambiti nei quali esercitare il
diritti di indagine poiché mossa dalla curiosità.
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Giulio Paolini e Pino Pinelli
Galleria Totem - il Canale -
Venezia |
Un interessante confronto tra due diverse concezioni dell'arte
contemporanea, entrambe sono accomunate da una personale interpretazione
del frammento, oggetto di indagine e soggetto indagante
Paolini utilizza il frammento come elemento compositivo non di un'idea
generale precostituita, ma quale componente fondamentale per la
realizzazione di uno spazio visivo nel quale l'artefatto è opera
autonoma e artistica nello stesso momento. Le opere presenti alla
mostra sono arricchite da certe varianti prospettiche quasi
scenografiche, all'interno delle quali l'inserimento di frammenti di
opere conosciute possono essere interpretate come una sorta di un
procedere a ritroso nella ricomposizione formale di un'opera
autonomamente significante. Tutti gli elementi in aggiunta non
interferiscono dunque sul contenuto iconografico del disegno di
supporto, poiché ogni quadro dell'artista torinese non è altro che
l'infinita e inarrestabile estensione dei limiti e delle definizioni
dell'arte. Vi si scorge quindi un incontro tra linguaggi che non tendono
né all'annullamento reciproco, né alla sopraffazione, entrambi sono
fatti in sé, autonomi ed interdipendenti in quel mondo di illusioni e
allusioni che è il mondo dell'arte.
Per un artista come Pino Pinelli costruire l'opera pittorica, non
significa fare riferimento solo al mondo delle idee, ma affidarsi anche
a quella parte operativa che contraddistingue l'essere pittore, per cui
ogni sua opera vive della simbiosi tra l'idea della pittura e il fare
pittura.
In passato la rottura del quadro, e la conseguente frammentazione della
superficie stessa, proposta dall'artista, non solo ha rappresentato una
semplice allusione allo spazio, ma è l'interpretazione dello spazio,
poiché si identifica con la negazione della limitatezza imposta dal
piano bidimensionale.
La materia, non più chiusa nei confini dalla superficie del quadro,
assume forme le più diverse. L'oggetto è dunque lo spazio, e la
disseminazione il modo di interpretarlo, di creare cioè un movimento
capace di scrollarsi di dosso la ristrettezza dell'essere contenuto, per
addentrarsi, con movimenti ampi ed armonici, in un mondo privo di una
dimensione predefinita, e seguire l'idealità di una possibile dinamica
spaziale, che le opere dell'artista presagiscono dalla direzione del
loro movimento. Non è dunque una pittura limitata ad una superficie
quale supporto dell'azione del dipingere, quanto la pittura che trova,
nell'indeterminatezza dello spazio, la superficie ideale per realizzarsi.
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Massimo
Poldelmengo
Galleria il Cantiere -
Venezia |
Sequenze è il titolo dell’esposizione di Poldelmengo. E non è un titolo
dato a caso, poiché nella realizzazione delle opere-oggetti vi si legge
la presenza insistente di una forma al divenire, nella quale, il diverso
rapporto tra le dimensioni delle opere e la materia che le compongono,
tendono a identificarsi con il divenire del tempo. Un divenire che
appare cangiante dapprima dall’azione mutatrice della materia, ma anche
dalla presenza statica dell’immagine fotografica. La materialità segna
qui la mutazione delle cose terrene, anteponendo però ad esse la
staticità dell’identificazione formale in quel mondo delle cose
sconosciute ma incomplete. La sintesi mira alla realizzazione di un’anarmonia
umanistica, in un reale contrasto con aspetto assillante dell’attualità
sociale.
L'utilizzazione di materiali deperibili e mutabili nel tempo (come il
legno, il ferro) e la costruzione di forme che racchiudono in sé solo
oggetti di un probabile uso quotidiano, permettono all'artista di
utilizzare dei significati incompleti poiché vivono della fase di
un’incerta identificazione con la loro utilizzazione. Poldelmengo,
allievo di Plessi all'Accademia di belle arti di Venezia, ha saputo
cogliere ed elaborare uno degli elementi fondamentali del concetto del
divenire. Un attuarsi che esce dalle dinamiche trasformazioni del farsi
"altro", ma tendente a riproposi come azione capace di riaffermare il
proprio essere in quanto sostanza.
E' dunque un'incertezza quella che propone l'artista pordenonese. E
questo perché la povertà dei materiali usati, la lo ro distrazione da
una realtà quotidiana, la loro apparente funzionalità oggettiva, mettono
lo spettatore in un piano di disagio, in un luogo nel quale
difficilmente la cosa estetica ha riscontro fuori del mondo dell'arte.
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Ciussi - Pope
Ex Convento di San Francesco -
Pordenone |
"Le opere esposte hanno una dinamica alquanto complessa che riguarda il
percorso di lettura individuale, le diverse connessioni di Ciussi e
Pope, ma anche la relazione provvisoria tra questi linguaggi e
l'identità estetica dello splendido contenitore". Così Claudio
Cerritelli introduce in catalogo la scultura di Carlo Ciussi e la
pittura di Pope esposte presso l'ex convento di San Francesco (veramente
splendido contenitore) a Pordenone.
Due artisti che, hanno risentito entrambi delle esperienze dell'arte
astratta degli anni sessanta, più volte hanno provato a confrontarsi
nella pittura, tanto che ora le loro opere sanno dialogare con una
certa naturalezza e godono contemporaneamente di un'ampia autonomia.
Solamente "Ferri" sono chiamate da Ciussi le sue sculture. Sono opere
che provengono da un percorso diverso da quello proprio della scultura.
E' l'esperienza pittorica che qui prevale e non a caso l'autore
privilegia la visione di due facce rispetto al tutto tondo tipico della
scultura. Una pittura quella di Ciussi che ha trovato nella geometria
un' ulteriore forma di astrazione che gli ha permesso di indirizzare la
sua ricerca verso la progettazione di un movimento modulare molto
particolare. L'originalità della forma e l'intensità dinamica delle sue
opere sono state, senza dubbio, la motivazione per una sua ulteriore
partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1986. L'elemento estetico
proprio di queste opere si individuando nella costante volontà di
interpretare, in modo personale e singolare e all'interno di
un'apparente e falsa fissità, la dinamicità del movimento di un doppio
che non si mostra quale banale ripetizione anonima di una particolare
forma, quanto di due forme entrambe espressioni di una potenziale
dinamicità contrapposta.
Colore, materia, superficie, sono gli elementi linguistici della pittura
di Pope. Più un'operazione razionale che un fluido movimento pittorico
sulla superficie. Un piano sul quale vengono posti, con la medesima
intensità materia e colore, ma anche luce come è facile riscontare nei
monocromi bianchi, Qui la luminosità si fa intensa sottolineatura di una
pennellata fluttuante su una parte della superficie.
La presentazione in dittico permette all'artista di superare il limite
del quadro e lo spazio viene in questo modo ad essere interpretato
nella sua dualità, qui proposta in una diversa dimensione, in una
diversa forma, in un diverso cromatismo. Pope muove verso una duplice
interpretazione della superficie, una più vicina all'azione del
pitturare e quindi più intima e più libera, un'altra, quella più
razionale, rimane ancorata al costruire al creare, all'inventare. In
questo dialogo tra forma e spazio, trova dunque giustificazione una
ricerca sulla percezione ma non talmente determinante da soffocare i
"sentimenti soggettivi del colore attraverso l' armonica realtà del
corpo pittorico".
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Michel Goldberg |
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Claudio Verna
Galleria Plurima -
Udine |
Nel '73 Verna scriveva "avvicinarsi alla pittura, oggi, [....] significa
reiventarla, oggettivarla, allontanarla da sè, servirsene per proporre
allo spettatore/fruitore una traccia per una ricerca comune e non per
offrirgli una verità che l'autore non può avere perché non esiste".
E' indubbiamente una considerazione sulla pittura che oltrepassa il
concetto di tempo poiché ciò che è stato scritto trent'anni fa ha ancora
valore. La pittura di Verna vive ancora nella dinamica della ricerca, in
quel divenire che rinnova continuamente sè stessa attraverso le continue
contrapposizioni tra produttore e lettore. E nel gioco delle parti
l'intercambiabilità non può essere reciproca; la fattualità si distingue
nettamente dalla percezione e solo quest'ultima non abbisogna di un
rapporto immediato, intenso, durevole, ludico, perfino perverso con la
materia, con il colore, con la superficie, o ancora con la resistenza
del colore stesso.
Le opere di Verna vivono certamente della duplice identità del fare e
del leggere o indifferentemente nell'offrirsi e dell'essere fruito. Una
duplice verità che sta prima nella fase razionale della progettazione,
dello stretto rapporto tra l'obliquità del segno e le dimensioni della
superficie oppure tra lo spazio percettivo progettuale e il diverso
rapporto cromatico e i molteplici passaggi di colore; comunque un fare
che si propone sempre come risultato di un'abilità o di una fattualità
individuale propria dell'artista e non di altri.
Diverso invece il momento percettivo che certo compete anche all'artista
poiché l'illusorietà è quel fatto puramente personale che ci permette
di essere altro. Spariscono allora segni e colori che potevano
costituire l'origine, il cominciamento, mentre nuovi rapporti illusori
acquistano valore, potenza ed espressione. Cromatismi di circolo di
apparenti ed illusorie lucentezze.
E' la negazione della pittura non può essere altro se non il suo
assoluto stato di oggetto autonomo. Uno stato nel quale ogni congettura
è l'essenza della pittura stessa e dove ogni problema del fare pittura è
la pittura in senso assoluto.
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